Come ci spiega Gesù nel Vangelo secondo Giovanni «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv. 8,31-32).
È un invito che non dovremmo mai dimenticare, soprattutto in momenti in cui il dibattito pubblico è fortemente condizionato da derive ideologiche che non sempre rispondono al riconoscimento pieno e vero di diritti costituzionalmente garantiti.
Ne è esempio in queste settimane la querelle sul Disegno di Legge all’esame della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati sull’omotransfobia. I testi all’esame a firma, tra gli altri, degli onorevoli Alessandro Zan ed Ivan Scalfarotto propongono di inserire tra i reati contro l’uguaglianza tra i cittadini non solo chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, ma anche «fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere» (Zan) o «fondati sull’omofobia o sulla transfobia» (Scalfarotto). Come pure «chi commette o istiga a commettere atti di violenza o atti di provocazione alla violenza» per i medesimi motivi o ancora qualsiasi «organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza» per tali motivi.
È evidente che non figura alcun reato di opinione o professione di una idea diversa purché non istighi a commettere atti di discriminazione, di violenza, di provocazione alla violenza. Le idee che l’art.604-bis condanna a prescindere dal concretizzarsi di forme di istigazione o di violenza restano quelle «fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico». Sbagliano dunque i Vescovi italiani a mostrarsi preoccupati? Mostrano il volto di una Chiesa omofoba che esprime ingerenza nei confronti dello Stato laico?
Il pensiero della Chiesa è chiaro ed è puntualmente enunciato nella stessa Esortazione apostolica sull’amore nella famiglia, pubblicata da Papa Francesco nel 2016 e che fa espresso rinvio al n. 2358 del Catechismo della Chiesa Cattolica: «desideriamo anzitutto ribadire che ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza». È evidente che la Chiesa Cattolica non può a nessun titolo rischiare di essere chiamata in causa nella sua azione evangelizzatrice e missionaria dalle modifiche proposte agli art.604-bis e 604-ter del Codice penale.
Ma quello che desta preoccupazione non è ciò che c’è nel Disegno di Legge – come abbiamo visto pienamente condivisibile anche da un punto di vista pastorale – ma cosa manca. La proposta di legge Zan-Scalfarotto ritiene necessaria una integrazione normativa per puntualizzare la gravità di atti discriminatori e violenti ma per farlo assume dei presupposti oggettivamente non veritieri: non è vero che ci sia un «vuoto normativo», non è vero che ci sia nel nostro Paese una «escalation dei crimini d’odio legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere», non è vero che sia «urgente» una legge sul contrasto all’omotransfobia. O almeno non più urgente di leggi a tutela della natalità, della famiglia, del lavoro, del sostegno al reddito, della libertà di istruzione. Secondo i dati ufficiali diffusi dal Ministero degli Interni i reati legati a discriminazione omosessuale sono circa 26/27 ogni anno. Tanti? Forse non tanti, ma certamente troppi comunque. Tuttavia la propaganda LGBTI ne rende la percezione di gran lunga superiore se lo stesso Zan nella sua relazione richiama il recente sondaggio realizzato da Amnesty International in collaborazione con la Doxa sul tema “Gli italiani e la discriminazione” in cui emerge che su un campione rappresentativo della popolazione italiana adulta (tra 18 e 70 anni) il 61,3 per cento dei cittadini di età compresa tra 18 e 74 anni ritiene che in Italia gli omosessuali siano molto o abbastanza discriminati. Ciò conferma che la sensibilità dell’ampia maggioranza dei cittadini italiani sente di farsi carico di tale rischio di discriminazione addirittura sovrastimandone la portata. Il sondaggio dice inoltre che a fronte di un 25,8% di eterosessuali che sono stati oggetto di insulti e umiliazioni, la popolazione LGBTI vede salire tale percentuale al 35,5%, uno su dieci in più. Tanti? Certamente troppi comunque, ma non così lontani dai comportamenti “normali” di bullismo riservati alla stragrande maggioranza della popolazione senza che per essi incida il fattore “orientamento sessuale”. Questa la verità dei numeri.
Chiarito ciò, evitando battaglie ideologiche, si potrebbe ragionare serenamente sulla necessità e sull’urgenza di provvedimenti più puntuali senza intaccare altri diritti costituzionalmente garantiti come la libertà di espressione dei propri convincimenti religiosi e delle proprie idee. Quello che manca, e che preoccupa i Vescovi italiani anche alla luce di atti discriminatori nei confronti delle opinioni espresse dalla Chiesa in altri Paesi del mondo, è un passaggio che chiarisca come tali disposizioni non compromettano la libertà di opinione espressa nel rispetto e nell’accoglienza delle altrui idee o orientamenti sessuali o di genere.
Nella scorsa Legislatura una proposta di legge simile era già stata approvata alla Camera e nel disciplinare le fattispecie dell’art.604-bis e 604-ter estese anche alla omofobia e alla transfobia chiariva, giustamente, che «non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni».
Perché nella nuova versione, oggi all’esame del parlamento, questa precisazione manca? Perché nessuno grida allo scandalo o denuncia i rischi di fattispecie di reato liberticide? I Vescovi sono preoccupati dello spirito del mondo e pur aprendo le porte ai fratelli gridano forte la preoccupazione di fare la fine della rana con lo scorpione nella favola di Esopo.
La Chiesa non può e non deve dettare l’agenda al parlamento, ma può e deve rivendicare il rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti (e tra cui la libertà di espressione delle idee ne è un caposaldo). Mi permetto di dirlo, da uomo, da cristiano, da cittadino di questo Stato:
- io amo il mio fratello e la mia sorella omosessuale;
- io amo il mio fratello e la mia sorella transessuale;
- io amo il mio fratello e la mia sorella che credono nella libertà di genere;
- io difendo il mio fratello e la mia sorella nella loro libera espressione qualunque sia il loro orientamento sessuale o di genere;
- io difendo il loro diritto a manifestare liberamente tale orientamento;
- io condanno ogni forma di odio e di violenza nei loro confronti;
- io amo la verità che richiama all’eguaglianza di tutti gli esseri umani;
- io difendo la verità dell’identità sessuale biologica;
- io difendo la verità biologica della procreazione tra maschio e femmina;
- io difendo la dignità della famiglia fondata sull’unione generativa tra maschio e femmina;
- io difendo la dignità dell’unione civile tra persone dello stesso sesso;
- io difendo il diritto naturale dei figli ad avere un padre e una madre.
Sono tutte verità, umane prima ancora che divine, e che meritano, tutte, adeguata tutela. Nessuna polemica, nessuna barricata ideologica, si chiede solo di essere fedeli alla verità. È essa che ci rende liberi. Non dimentichiamolo mai.
© Vito Rizzo 2020
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