Lo scorso 21 settembre 2020 il Ministro della Salute Roberto Speranza ha reso nota l’istituzione di una commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana, designando a presiederla Mons. Vincenzo Paglia.
Apriti cielo! Un prete in una Commissione ministeriale. Dov’è finito lo stato laico?
Il commento del filosofo Paolo Flores d’Arcais su MicroMega, rimbalzato anche da giornali e siti web, da opinionisti da tastiera e da liberal ostracisti, è lapidario: “è un obbrobrio”.
L’intellettuale argomenta il suo disappunto in maniera focosa: «Per quale motivo il ministro della salute di un governo democratico, per il quale perciò la laicità è una precondizione irrinunciabile, ha l’impudenza di nominare un “ministro” del Papa alla testa di una commissione particolarmente importante, visto che dovrà dar vita alla riforma dell’assistenza alla vecchiaia, di cui il Covid ha mostrato le carenze spaventose e per la quale, ovviamente, uno Stato democratico dovrebbe puntare sul servizio pubblico, di alto livello ed eguale per tutti?»
In verità il Ministro Speranza, quello beninteso favorevole alle pratiche abortive low cost e senza tutela psicologica e sanitaria (vedi uso domiciliare della RU486 fino alla nona settimana), ha motivato la scelta semplicemente prendendo atto che «I mesi del Covid hanno fatto emergere la necessità di un profondo ripensamento delle politiche di assistenza sociosanitaria per la popolazione più anziana. La commissione aiuterà le istituzioni ad indagare il fenomeno e a proporre le necessarie ipotesi di riforma» e per farlo ha scelto a presiederla una persona di straordinaria sensibilità e competenza, il Prof. Vincenzo Paglia, dal 1970 presbitero della Chiesa cattolica e dal 2000 nominato Vescovo. Questo il suo stato civile. Ci sono cittadini italiani celibi, sposati, uniti civilmente, lavoratori, disoccupati, credenti, non credenti, atei, imam o filosofi nichilisti, e c’è anche un docente universitario, impegnato nel volontariato e in missioni diplomatiche internazionali che 50 anni fa ha scelto di farsi prete. Vincenzo Paglia ha anche il “torto” di essere Presidente del Dicastero Vaticano per i Laici, Famiglia e Vita e autore durante l’emergenza Covid-19 del libro Pandemia e fraternità (edito da Piemme) che riflette sull’impatto che l’emergenza sanitaria ha avuto sulla vita quotidiana e sulle relazioni umane.
Ora, nella “lucida” analisi di Paolo Flores d’Arcais i titoli di merito di Paglia andrebbero ridimensionati esclusivamente per il fatto di essere un cristiano, per di più prete e, per evidenti meriti, riconosciuto Vescovo e poi Cardinale. Il nostro filosofo infatti è costretto a riconoscere che «come cofondatore della Comunità di Sant’Egidio, Paglia ha accumulato certamente grandi e meritevoli capacità nell’aiuto agli strati emarginati della popolazione (quelli di cui in un paese civile si dovrebbe occupare il welfare, che vergognosamente manca per ferocia liberista, dunque tanto di cappello alla carità di fede, che surroga)», motivo per cui «come componente della commissione avrebbe avuto la possibilità di offrirla alla riflessione di tutti». Ma come presidente no. Per un cristiano, pur cittadino italiano e dotato dei più alti requisiti professionali è troppo!
Ci sono cittadini di Serie A, i non credenti liberal chic, e i cittadini di Serie B, i credenti che in quanto tali devono essere discriminati.
Il problema è che «di sicuro S.E.R. Vincenzo Paglia si adopererà perché nessun anziano possa mai decidere liberamente, una volta avute le condizioni di assistenza materiali e morali migliori possibili, di porre fine a un’esistenza che non viva più come vita ma come tortura».
Un ex magistrato, sanguigno politico e già ex ministro avrebbe tuonato: «Ma che c’azzecca!»
Qui non è in discussione il dibattito sull’eutanasia, ma la più corretta organizzazione di un sistema di assistenza domiciliare agli anziani nel quale l’associazionismo cattolico, anche a detta dello stesso Flores d’Arcais, ha da sempre sopperito alle negligenze dello Stato repubblicano. Fortunatamente per i più deboli, la Chiesa non si fa scrupoli di farsi “ospedale da campo”, per usare un’efficace espressione di Papa Francesco, e lo fa nel rispetto del principio tanto caro ai Padri Costituenti della “Sussidiarietà” e soprattutto nello spirito del troppo spesso disapplicato art.3 della nostra Carta Costituzionale «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
Ma per Flores d’Arcais, a quanto pare, il pensiero diverso dal suo non ha pari dignità costituzionale e quindi vorrebbe che ad alcuni cittadini venissero precluse alcune opportunità per le quali si avrebbero tutti i requisiti.
Il filosofo, consapevole della fallacia del suo argomentare, mette già le mani avanti: «metto già in conto che queste mie ovvie considerazioni saranno bollate di “laicismo”, mentre la vera laicità è … e bla e bla e bla».
Bene, caro Flores d’Arcais lo stato di diritto non è un mero blablabla. Studi un po’ di più e impari a riflettere partendo da una prospettiva un po’ più ampia: non è lo stato di diritto che deve necessariamente adattarsi alla sua ideologia, piuttosto il suo filosofare dovrebbe imparare ad avere maggior rispetto della verità, del cui nome, anche lei, troppo spesso abusa, confondendola con la sua, pur legittima, opinione.
(c) Vito Rizzo 2020
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