Nei giorni scorsi, sul proprio profilo social, un teologo gesuita, Paolo Gamberini, prendendo la palla al balzo dalle dichiarazioni, palesemente artefatte, del Santo Padre Francesco nell’ormai noto documentario presentato alla Mostra del Cinema di Roma, ha provato a gettare un sasso nello stagno della già turbolenta discussione teologica attorno al tema dell’omosessualità: «e intanto iniziamo a benedire le coppie omosessuali unite civilmente. Sarebbe il primo passo concreto che tutti i preti possono fare. Affinché lo “debbano” fare, sarebbe necessario che dal documentario “Francesco” il Papa facesse un documento. Ho trovato anche il titolo: Numquam pavidi». “Non aver mai paura”, certo, ma di cosa? Di certe tesi non bisognerebbe avere paura, basterebbe il pudore.
Da persona aperta al confronto ho cercato di capire e stimolare un supplemento di riflessione e ho commentato quel post in questo modo: «Non so se sia sacramentalmente corretto “benedire l’unione” e non piuttosto “benedire i componenti dell’unione”. Gliela sottopongo così, come spunto di riflessione».
La questione, infatti, non è la Chiesa aperta e accogliente, la necessità di tutele giuridiche al di là delle scelte personali, moralmente condivisibili o meno ma sempre da rispettare, la dimensione pastorale e la capacità della Chiesa e dei cristiani, sull’insegnamento di Cristo, di farsi prossimi dei propri fratelli. La questione è se sia sacramentalmente corretto “benedire” una forma di unione che è una forma giuridica alternativa al matrimonio sacramentale tra uomo e donna, giustamente regolamentata dall’ordinamento statale con le dovute tutele per cittadini che, al di là del loro orientamento sessuale, scelgano forme stabili di convivenza.
La risposta si è fatta un po’ attendere ma è arrivata: «La benedizione riguarda le persone e le loro relazioni. Le persone generano l’unione e l’unione qualifica le persone. C’è reciprocità. Benedire l’unione “di persone” è più che benedire le persone. Si benedice ciò che “attualizza” maggiormente l’essere-persona».
E quindi? Nel merito può la Chiesa benedire ciò che non realizza la pienezza del disegno di Dio creatore? La questione è appunto questa. Non si tratta di benedire o meno le persone, ma benedire una dimensione secolare della vita che quelle persone, a prescindere da ogni giudizio morale, hanno scelto di vivere in oggettivo contrasto con la dimensione sacramentale legata allo stato di vita. Un gesuita la dinamica dell’elezione dello stato di vita dovrebbe averla ben chiara, è questo che personalmente mi lascia perplesso.
Cos’è infatti una benedizione ministeriale? È un “sacramentale”, un segno sacro per mezzo del quale, con una certa imitazione dei sacramenti, si producono effetti soprattutto spirituali.
Come chiariscono tanto la Sacrosantum Concilium (SC 60), quanto il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC, 1667), quanto ancora il Codice di diritto canonico (Can. 1166) per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere l’effetto principale dei sacramenti e vengono santificate le varie circostanze della vita. Come osserva il liturgista Don Enrico Finotti «La differenza fondamentale che distingue i Sacramenti dai Sacramentali é la loro diversa istituzione: i sette Sacramenti sono stati istituiti da Cristo Signore e perciò in essi agisce sempre lui stesso in modo diretto ed infallibile; i molteplici Sacramentali invece sono stati istituiti lungo i secoli dalla Chiesa a seconda delle necessità dei suoi figli e in essi opera l’intercessione potente della Chiesa stessa, sua mistica Sposa».
La domanda da porsi è perciò questa: può un sacramentale sostituire un sacramento in carenza di condizioni oggettive per lo stesso? Può un sacramentale essere istituzionalizzato per dare copertura liturgica a una copia, più o meno buona, di un sacramento? Erano questi gli elementi di riflessione teologica che avrei voluto sottoporre al professor Gamberini, se solo non mi avesse di colpo cancellato dai suoi contatti social…
Decontestualizzare e strumentalizzare le parole del papa è infatti fuorviante. Come già ampiamente chiarito dai media, quello fatto dall’autore del documentario “Francesco” e da chi, ancora oggi, continua a proporre quell’estratto, montato ad arte, come novità del Magistero, è un atto di infedeltà allo stesso Pontefice e alla Chiesa. È proprio di queste ore la notizia della diffusione da parte della Segreteria di Stato di una nota ufficiale inviata a tutte le Nunziature Apostoliche (le Ambasciate della Santa Sede nei Paesi esteri) per chiarire la portata delle dichiarazioni del Papa e l’uso distorto che ne è stato fatto. Il papa – è bene ribadirlo – non “benedice” le Unioni Civili ma ne auspica la previsione normativa per garantirne una propria tutela giuridica (differente da quella riservata alla famiglia naturale). Non possiamo confondere la dimensione giuridica con quella teologica: della prima sono certo che il Papa, come ciascun cristiano, ne sia convinto, sulla seconda e su eventuali “benedizioni” a un istituto giuridico secolare, ma non sacramentale, nutro personalmente dei dubbi, che il buon Gamberini non è stato in grado di sciogliere, ma forse, a ben guardare, non ci ha nemmeno provato…
(c) Vito Rizzo 2020
Articolo pubblicato sulla rivista on line PuntoFamiglia.net
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