«Mettetevi in politica, ma per favore nella grande politica, nella Politica con la maiuscola!». È questo l’invito che papa Francesco il 30 aprile 2017 aveva già rivolto agli aderenti dell’Azione Cattolica Italiana e che con la “Fratelli tutti” è diventato un appello universale. Per cambiare il mondo – sembra voler dire il Santo Padre – «è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune» (FT 154).
Non si possono rincorrere i populismi, dove i più deboli «vengono demagogicamente usati» per raggiungere il potere, né ci si può asservire al neo-liberismo dove i più deboli sono usati «al servizio degli interessi economici dei potenti» (FT 155).
È per questo che bisogna fare molta attenzione a riconoscere i segni, tra chi opera per il bene comune e chi, invece, insegue solo un consenso utile a sé e al suo gruppo. Francesco non fa di tutta l’erba un fascio: «ci sono leader popolari capaci di interpretare il sentire di un popolo, la sua dinamica culturale e le grandi tendenze di una società. […] Ma esso degenera in insano populismo quando si muta nell’abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere (FT 159)».
Prima regola, diffidare da chi chiude il popolo al di qua di barriere: «Infatti, la categoria di “popolo” è aperta. Un popolo vivo, dinamico e con un futuro è quello che rimane costantemente aperto a nuove sintesi assumendo in sé ciò che è diverso. Non lo fa negando sé stesso, ma piuttosto con la disposizione ad essere messo in movimento e in discussione, ad essere allargato, arricchito da altri, e in tal modo può evolversi» (FT 160). L’unità è superiore al conflitto.
Seconda regola, diffidare da chi persegue l’interesse immediato: «Si risponde a esigenze popolari allo scopo di garantirsi voti o appoggio, ma senza progredire in un impegno arduo e costante che offra alle persone le risorse per il loro sviluppo, per poter sostenere la vita con i loro sforzi e la loro creatività» (FT 161). Se, come afferma Francesco, «il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze. Questo è il miglior aiuto per un povero, la via migliore verso un’esistenza dignitosa» (FT 162). Il tempo è superiore allo spazio.
Terza regola, diffidare da chi non propone soluzioni concrete: «L’amore al prossimo è realista e non disperde niente che sia necessario per una trasformazione della storia orientata a beneficio degli ultimi. […] A volte si hanno ideologie di sinistra o dottrine sociali unite ad abitudini individualistiche e procedimenti inefficaci che arrivano solo a pochi. […] Non c’è una sola via d’uscita possibile, un’unica metodologia accettabile, una ricetta economica che possa essere applicata ugualmente per tutti» (FT 165). E ancora, «Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale. Si tratta di un pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette di fronte a qualunque sfida si presenti. Il neoliberismo riproduce sé stesso tale e quale, ricorrendo alla magica teoria del “traboccamento” o del “gocciolamento” – senza nominarla – come unica via per risolvere i problemi sociali» (FT 168) La realtà è superiore all’dea.
Quarta regola, diffidare da chi rinuncia a una visione d’insieme: «Da una parte è indispensabile una politica economica attiva, orientata a “promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale”, perché sia possibile aumentare i posti di lavoro invece di ridurli. La speculazione finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua a fare strage. D’altra parte, “senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare”. […] La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato e che, oltre a riabilitare una politica sana non sottomessa al dettato della finanza, “dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno”» (FT 168). Il tutto è superiore alla parte.
Per perseguire questa strada, osserva ancora Papa Francesco, «ci vogliono coraggio e generosità per stabilire liberamente determinati obiettivi comuni e assicurare l’adempimento in tutto il mondo di alcune norme essenziali» (FT 174).
Chiarito il metodo si passa alla responsabilità personale, non negando lo scoraggiamento che sono costrette a vivere le persone di buona volontà, infatti «per molti la politica oggi è una brutta parola, e non si può ignorare che dietro questo fatto ci sono spesso gli errori, la corruzione, l’inefficienza di alcuni politici. A ciò si aggiungono le strategie che mirano a indebolirla, a sostituirla con l’economia o a dominarla con qualche ideologia». Ma il papa ci smuove con un’altra domanda: «può funzionare il mondo senza politica?», e ancora, «può trovare una via efficace verso la fraternità universale e la pace sociale senza una buona politica?» (FT 176).
La prima grande avvertenza per chi vuole impegnarsi in politica è che «la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia» in quanto «non si può chiedere ciò all’economia, né si può accettare che questa assuma il potere reale dello Stato» (FT 177). Ma soprattutto, ricorda ancora Francesco, «davanti a tante forme di politica meschine e tese all’interesse immediato, ricordo che “la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine”. […] Pensare a quelli che verranno non serve ai fini elettorali, ma è ciò che esige una giustizia autentica, perché, […] la terra “è un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva” (FT 178).
Per affrontare la politica con questo spirito è necessario «riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti». Queste «non sono mere utopie», ma «esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possibilità» (FT 180), nella «luce della verità che costantemente cerchiamo, […] senza relativismi» (FT 185).
Francesco declina così la dimensione della politica come più alta forma di carità ereditata dal magistero di San Paolo VI: «È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. Se qualcuno aiuta un anziano ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico gli costruisce un ponte, e anche questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica» (FT 186).
Il vero politico, con la P maiuscola, «è un realizzatore, è un costruttore con grandi obiettivi, con sguardo ampio, realistico e pragmatico, anche al di là del proprio Paese» (FT 188).
Come fare per riconoscerlo allora? «La carità politica si esprime anche nell’apertura a tutti. Specialmente chi ha la responsabilità di governare, è chiamato a rinunce che rendano possibile l’incontro, e cerca la convergenza almeno su alcuni temi. Sa ascoltare il punto di vista dell’altro consentendo che tutti abbiano un loro spazio. Con rinunce e pazienza un governante può favorire la creazione di quel bel poliedro dove tutti trovano un posto. In questo ambito non funzionano le trattative di tipo economico. È qualcosa di più, è un interscambio di offerte in favore del bene comune. Sembra un’utopia ingenua, ma non possiamo rinunciare a questo altissimo obiettivo» (FT 189). Ma l’altra grande “utopia” che il papa propone è quella della rivoluzione della tenerezza (cf FT 194), perché «non sempre si tratta di ottenere grandi risultati, che a volte non sono possibili; […] chi ama e ha smesso di intendere la politica come una mera ricerca di potere, “ha la sicurezza che non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore, non va perduta nessuna delle sue sincere preoccupazioni per gli altri, non va perduto nessun atto d’amore per Dio, non va perduta nessuna generosa fatica, non va perduta nessuna dolorosa pazienza. Tutto ciò circola attraverso il mondo come una forza di vita”» (FT 195).
Sta proprio qui la bellezza della Politica. Per un cristiano, per una persona onesta, per chiunque operi a servizio del bene comune. «Vista in questo modo, – conclude allora Francesco – la politica è più nobile dell’apparire, del marketing, di varie forme di maquillage mediatico. Tutto ciò non semina altro che divisione, inimicizia e uno scetticismo desolante incapace di appellarsi a un progetto comune. Pensando al futuro, in certi giorni le domande devono essere: “A che scopo? Verso dove sto puntando realmente?”. Perché, dopo alcuni anni, riflettendo sul proprio passato, la domanda non sarà: “Quanti mi hanno approvato, quanti mi hanno votato, quanti hanno avuto un’immagine positiva di me?”. Le domande, forse dolorose, saranno: “Quanto amore ho messo nel mio lavoro? In che cosa ho fatto progredire il popolo? Che impronta ho lasciato nella vita della società? Quali legami reali ho costruito? Quali forze positive ho liberato? Quanta pace sociale ho seminato? Che cosa ho prodotto nel posto che mi è stato affidato?”» (FT 197).
A tutti i livelli, in ambito locale, nazionale e globale le domande sono e saranno sempre queste. La risposta che ciascuno saprà darsi è la cifra su cui ciascuna storia politica sarà misurata.
(c) Vito Rizzo 2020
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