«Essere genitori è il mestiere più difficile del mondo!» Quante volte abbiamo ascoltato o pronunciato queste parole? Quante volte ci siamo trovati a ricevere o a dare coraggio, ad alimentare la speranza, a trovare in queste parole il conforto negli incidenti di percorso o ancora lo stimolo alla dedizione, all’impegno, alla cura? Come possiamo accompagnare i nostri figli nella vita? Come possiamo accompagnarli alla vita? Cosa desideriamo per loro, ma soprattutto, cosa desiderano loro?
In quella che Papa Francesco descrive non come una “epoca di cambiamento” ma come un “cambiamento d’epoca” i nostri strumenti ci sembrano spesse volte inadeguati, eppure la cura la si può esprimere soltanto mettendo al centro la specialità di ciascuno di loro, curando il loro essere “originali” e insegnando a riconoscere i rischi di farsi “fotocopia”, per ricordare un invito tanto caro al giovane beato Carlo Acutis.
È necessario innanzitutto accendere, tener vivo il desiderio. Ma qui arriviamo all’altro punto? Cos’è il desiderio? Siamo sicuri che questo termine sia ancora compreso o non è forse più facile accontentarsi di seguire il capriccio? Mi lascerò accompagnare in questa riflessione da alcuni spunti proposti qualche anno fa da Massimo Racalcati al Festival dell’Educazione. Secondo il noto psicologo «il desiderio è il contrario del capriccio, mentre il nostro tempo e il linguaggio comune solitamente confondono il desiderio col capriccio, il desiderio con l’arbitrio, il desiderio col fare quello che si vuole». Il desiderio invece è una vocazione, una chiamata alla vita, al senso da dare alla propria vita. È questo il grande problema del nostro tempo, «la malattia principale è l’eclisse del desiderio, è la perdita del desiderio, è il tramonto del desiderio».
Ma è possibile educare al desiderio? Come può un genitore educare al desiderio un proprio figlio?
Secondo Recalcati la prima questione da porsi è se il figlio sia stato egli stesso oggetto di desiderio, se sia stato “desiderato”. È necessario cioè che il figlio senta su di sé la bellezza di essere stato oggetto del desiderio; è un’eredità che gli permette di farsi egli stesso soggetto, poi, di un desiderio.
Soggetto e oggetto egli stesso del suo desiderio.
Ma il senso del desiderio lo si costruisce anche riconoscendo la presenza e il senso del limite.
“I No che aiutano a crescere”, per usare un’espressione di Asha Phillips. I figli non possono crescere se non assumono l’esperienza del No, del senso dell’impossibile. Osserva ancora Recalcati che «non c’è discorso educativo se non attraverso l’esperienza formativa del limite, ma noi viviamo in un’epoca in cui tutto sembra irridere l’esperienza del limite: “perché no?” Perché dovrei rinunciare? Perché dovrei limitarmi?». Mettere dei limiti ai propri figli significa preservarli, significa averne cura, significa salvarli da alienazioni psicologiche, emotive, caratteriali, umorali… Il problema è serio perché sembra quasi saltato il modello educativo, per i genitori sembra spesso prioritaria la ricerca di consenso e non la responsabilità genitoriale. Avviene quello che ancora Recalcati definisce un ribaltamento della logica stessa della filiazione simbolica «per cui sono i genitori allarmati nei confronti del non-amore dei loro figli, e dunque se inseguono l’amore dei loro figli, allora è chiaro che è un “sì” su tutto».
Ma dall’altro lato è importante anche che ai figli si trasferisca non meramente l’imposizione del limite ma il senso della legge, il senso del limite. Il genitore non deve godere della forza della legge, non deve “essere La Legge”, deve più semplicemente esserne custode, per mostrare che «il desiderio vive grazie all’esperienza del limite, che è l’esperienza del limite che fa esistere il desiderio».
Ultimo passaggio, poi, è la capacità di fare un passo indietro, di donare la libertà. Non ingabbiare i figli nelle aspettative che su di loro hanno i genitori, offrire gli strumenti, donare la libertà e avere fiducia nei propri figli. Educare al desiderio, mostrare il senso e le ragioni del limite, affidare al figlio la sua vita nell’esercizio della sua libertà. “A modo tuo” con tenerezza e intensità eguale e diversa cantano Ligabue ed Elisa.
Ma in questo mondo così minaccioso si può avere fiducia di lasciare i figli alla loro libertà? Si può e si deve. Il compito di un genitore non può andare oltre, non può invadere il campo della vita del figlio sostituendosi a lui o a lei. Per lasciare che ciò accada è necessario che il figlio abbia incorporato la legge, come fa Dio con ciascuno di noi, come fa il Padre con ciascun figlio. È questo che fa vivere in maniera autentica la fede e la speranza cristiana, è questo che ci insegna la rivelazione di Dio nella storia dell’uomo. Come osserva ancora Recalcati e che ciascuno di noi può facilmente riconoscere quale risonanza dell’esperienza rivelativa della Sacra Scrittura, il figlio «potrà sbagliare, potrà sbandare, potrà perdersi, ma ha un senso della verità, e sa che nel suo viaggio può tornare: questo è molto importante. Un figlio deve perdersi – l’erranza, l’anarchia, il viaggio – ma deve sapere che c’è un luogo dove può tornare. Proprio perché sa che può tornare, sa che può viaggiare». Proprio perché sa che può tornare, può fare suo il viaggio della vita.
(c) Vito Rizzo 2021
(Articolo pubblicato sulla Rivista on line di tematiche familiari Punto Famiglia – www.puntofamiglia.net)
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