DDL ZAN: FERMATE QUESTO OBBROBRIO GIURIDICO!

Il DDL Zan è un modo sbagliato di affrontare un problema giusto. La lotta all’omotransfobia, come alla discriminazione di donne e disabili, alla xenofobia, all’islamofobia e perché no anche alla cristianofobia è un dovere etico oltre che giuridico, ma soprattutto è una emergenza culturale.

Il guaio è che proprio in ambito etico e giuridico, oltre che nell’approccio culturale, il DDL fa acqua da tutte le parti.

Tralasciando gli aspetti maggiormente divisivi, soffermiamoci un attimo sui profili di diritto sostanziale più “banali” e per farlo applichiamo quello che anche in gergo giuridico viene assunto come “giudizio prognostico”. Cerchiamo cioè di comprendere, a “legge Zan” vigente, come la stessa inciderebbe sulla vita concreta della comunità.

Un solo esempio che può però rendere bene l’idea:

Maggio 2022, per contrastare la disparità di genere si varano misure di inclusione che incentivino l’assunzione lavorativa di donne.

Un datore di lavoro decide di utilizzare questa norma per beneficiare delle detrazioni fiscali e assumere nuovo personale.

Un giovane disoccupato dichiara di “sentirsi donna” e chiede di concorrere per quel posto.

Il datore di lavoro dichiara la sua domanda irricevibile per carenza di requisiti e il giovane disoccupato denuncia il fatto sui social, sui giornali, in tv.

Barbara D’Urso e Alberto Matano ci si buttano a pesce ed ecco montato il “caso mediatico”

Il datore si difende pubblicamente affermando che la candidatura è pretestuosa e che la norma prevede agevolazioni per l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro e non di uomini che “si dichiarano donna”.

Il giovane disoccupato, supportato dalle associazioni LGBTI finanziate con il contributo dello Stato previsto dalla legge (art.7 del DDL Zan), lo querela per istigazione all’odio e discriminazione di genere in violazione del “novellato” art.604-bis del codice penale.

Il datore di lavoro può lasciarsi intimorire e decidere di assumerlo per chiudere la questione ed evitare la gogna mediatica, lasciando così fuori una donna, magari madre di famiglia single che agognava a quel posto per vivere una vita dignitosa, o può pagare un avvocato per difendere la propria onorabilità e il proprio operato. In ognuno dei due casi ingiustizia è fatta!

Nota a margine: Visti i tempi della giustizia italiana non sappiamo come andrà a finire; se il giudice archivierà il caso o rinvierà a giudizio il malcapitato datore di lavoro che la prossima volta deciderà di non assumere nessuno per non rischiare di finire, come dicono a Napoli, “curnuto e mazziato”.

P.S. Scrivo questo articolo oggi, in anticipo, così queste ovvietà non siano anche per me motivo di procedimento penale a mio carico. Il principio del tempus regit actum infatti mi salverebbe da un’applicazione anche nei miei confronti del novellato art.604-bis del codice penale…

 

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