Negli ultimi anni il tema della fraternità sta entrando con sempre maggiore consapevolezza nel dibattito pubblico. Una riflessione che coinvolge umanisti, sociologi, filosofi, le diverse confessioni religiose, tra cui, naturalmente, papa Francesco. La sua ultima Enciclica, Fratelli tutti[1], non è infatti che l’ultima tappa in ordine di tempo di un percorso che è iniziato poche settimane dopo l’inizio del suo pontificato, l’8 luglio 2013 a Lampedusa; non soltanto i documenti magisteriali, infatti, ci parlano di fraternità ma anche i gesti rivelativi che a quelle parole sono «intimamente connessi»[2]. Da ultimo la visita in Iraq e l’incontro con l’ayatollah sciita Al-Sistani, a distanza di due anni dalla firma ad ad Abu Dhabi del Documento sulla Fratellanza Umana[3] con il Grande Imam sunnita Ahmad Al-Tayyeb.
Che la fraternità universale sia al centro del pontificato di Francesco è del tutto evidente, degno di nota è però il fatto che questa riflessione – come detto – travalichi gli ambienti religiosi per entrare nel laicissimo dibattito pubblico. Da segnalare la pubblicazione da parte di Edgar Morin di un intenso pamphlet sul tema dal titolo La Fraternità, perché?[4], pubblicato recentemente dall’editricie AVE. L’autore, padre del pensiero complesso e dell’approccio transdisciplinare, si lascia interrogare da quella che è considerata la “cenerentola” della triade della Rivoluzione francese per provarne a descrivere il carattere e la natura. I tre termini, infatti, pur essendo complementari non si integrano automaticamente tra loro, ma anzi la libertà tende a sacrificare l’uguaglianza mentre l’uguaglianza, imposta autoritativamente, sopprime l’esercizio delle libertà. Nella storia dell’uomo i regimi politici si sono del resto spesse volte caratterizzati, e si caratterizzano ancora oggi, per un’accentuazione dell’uno o dell’altro trascinando gli stessi verso derive ideologiche. Con la fraternità questo non è accaduto e non può accadere, perché – osserva Morin – la fraternità nasce dall’uomo non da un’imposizione statuale, politica o ideologica. Ecco dunque il motivo di questa dignità sacrificata; a differenza della libertà e dell’uguaglianza, la fraternità non può essere imposta per legge[5]. La storia – come detto – ci ha sempre mostrato come i primi due termini abbiano vissuto e vivano in continua tensione, in quella che Romano Guardini teorizzò con il termine di “opposizione polare”[6], la questione aperta è comprendere come in questa tensione sia possibile non solo trovare un equilibrio ma anche inserire il terzo elemento, la fraternità. La struttura oppositiva che Morin utilizza per provare a cogliere il carattere della fraternità sembra rimandare proprio al filosofo e teologo italo-tedesco: «Ogni individuo ha, in quanto soggetto, due quasi-software in sé. Il primo è un software egocentrico: “me-io”. Tramite questo me-io ognuno si autoafferma situandosi al centro del mondo, o per lo meno del proprio mondo. Questo software è necessario giacché, se non lo avessimo, non saremmo pronti a nutrirci, a difenderci, a voler vivere. Ma esiste un secondo software che si manifesta sin dalla nascita, quando il neonato attende il sorriso, la carezza, la cullata, lo sguardo della madre, del padre, del fratello… Sin dall’infanzia abbiamo bisogno del “noi” e del “tu” che riconosce “te” come soggetto analogo a “sé” e vicino affettivamente a sé, pur essendo altro»[7].
Ciò che muove questo sentimento che ci porta all’apertura verso l’altro corrisponde per Morin proprio alle «fonti della fraternità»[8].
Ma quali sono le dinamiche che “agitano” la fraternità? Morin guarda alle fonti biologiche della fraternità in un excursus che, forte della conoscenza transdisciplinare di cui è sostenitore, mostra le dinamiche presenti in natura che emergono dall’osservazione degli ecosistemi, dalle piante agli insetti, dalle società animali alle interazioni cellulari. Proprio partendo da questa osservazione delle dinamiche “di natura” Morin recupera alla tensione oppositiva costitutiva della stessa fraternità, da un lato la visione solidaristica di Pëtr Kropotkin[9], dall’altro il darwinismo sociale di Thomas H. Huxley[10]. Per il filosofo francese, infatti, «bisogna integrare la visione kroptokiana del mutuo appoggio nella visione darwiniana della selezione e associare queste due nozioni antinomiche e nondimeno indissolubilmente legate: la cooperazione e il conflitto. […] Ogni società, e questo presso gli umani si ritrova su un’altra scala e con un’altra complessità, è il luogo di una relazione al tempo stesso complementare e antagonista (dialogica) tra solidarietà e conflittualità»[11].
La forza di questa dinamica dialettica non è dunque la sintesi ma la tensione oppositiva. La principale opposizione[12] che caratterizza la fraternità è dunque per Morin quella tra individualismo e solidarietà; quando la tensione tende ad assolutizzare la prima ecco che emergono le grandi ferite della post-modernità: l’egoismo, il degradarsi della solidarietà e di conseguenza l’isolamento e il materialismo: «aggiungiamo che il modo di conoscenza dominante è il calcolo, che traduce tutte le realtà umane in cifre e non vede negli individui-soggetti altro che oggetti»[13].
È il prevalere della visione tecnocratica da cui Papa Francesco con Laudato si (LS 106:119) e prima di lui Benedetto XVI con Caritas in Veritate (CV 71:74) hanno voluto mettere in guardia l’umanità. La deriva che scorge Morin è quella che si passi dall’Homo Sapiens all’Homo Demens[14], dimenticando in questo vortice materialista che «l’unità umana è il tesoro della diversità umana, la diversità umana è il tesoro dell’unità umana. Questo significa che comprendere l’altro comporta il riconoscimento della nostra comune umanità e il rispetto delle sue differenze. Sono queste le basi su cui potrebbe svilupparsi la fraternità tra tutti gli umani in un’avventura comune di fronte al nostro destino comune. È paradossalmente nel momento del più grande bisogno di fraternità umana che dappertutto le culture particolari si richiudono»[15].
È questo il rischio che ha colto anche Papa Francesco, decidendo così, profeticamente, di mettere la Chiesa missionaria ad arare il campo di un nuovo processo di dialogo e di incontro. «Tutto ciò che non si rigenera degenera – continua ostinatamente a ripetere Morin – e questo vale anche per la fraternità»[16].
Ecco allora che in questo processo in cui “il tempo è superiore allo spazio” (EG 222:223) «la fraternità, mezzo per resistere alla crudeltà del mondo, deve diventare scopo senza smettere di essere mezzo. Lo scopo non può essere un termine, deve diventare il cammino, il nostro cammino, quello dell’avventura umana»[17].
Per riuscirci, però, è necessario ripensare la triade libertà-uguaglianza-fraternità in una dinamica diversa. Per superare l’aporia che lo stesso Morin denuncia, la soluzione, differentemente da quello che dice lo stesso autore, è forse data dall’assumere in essa il dinamismo della Trinità cristiana, «in cui i tre termini si inter-generano»[18].
Una libertà che si esalta nell’uguaglianza e nella fraternità, come non manca di sottolineare Papa Francesco: «L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità» (FT 107). Un’uguaglianza che si realizza nella libertà e nella fraternità: «Neppure l’uguaglianza – evidenzia il Papa – si ottiene definendo in astratto che “tutti gli esseri umani sono uguali”, bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità» (FT 104). “Fratelli”, non solo soci. Una fraternità che si nutre della libertà e dell’uguaglianza, in quanto, come si legge ancora nella Fratelli tutti «La libertà per l’altro è infatti alla base della fraternità» (FT 94), ma, osserva ancora Papa Francesco, «la fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore» (FT 103).
La fraternità universale è un cammino. Per Morin, come detto, «il cammino dell’esperienza umana [che] deve diventare scopo senza smettere di essere mezzo»[19]. L’universalismo, infatti, precisa Papa Francesco, non può essere imposto, non può essere «autoritario e astratto, dettato o pianificato da alcuni e presentato come un presunto ideale allo scopo di omogeneizzare, dominare e depredare» (FT 100). Il tutto è sempre superiore alla parte, o alla somma delle parti (EG 234:235); la realtà è sempre superiore all’idea (EG 231:233). Del resto, aveva intuito Romano Guardini, il “concreto vivente” è sempre superiore al “caso limite”[20].
Con questo cambio di prospettiva, tutto viene ricondotto alla necessità di riconoscere la dignità dell’umano, in quanto «c’è un riconoscimento basilare, essenziale da compiere per camminare verso l’amicizia sociale e la fraternità universale: rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza» (FT 106). E ancora, «quando questo principio elementare non è salvaguardato, non c’è futuro né per la fraternità né per la sopravvivenza dell’umanità» (FT 107).
La fraternità risponde quindi ai principi universali dei diritti dell’uomo, e non è una concessione del diritto positivo ma una verità che si radica nel diritto naturale. Sul punto Papa Francesco è quanto mai chiaro: «Se bisogna rispettare in ogni situazione la dignità degli altri, è perché noi non inventiamo o supponiamo tale dignità, ma perché c’è effettivamente in essi un valore superiore rispetto alle cose materiali e alle circostanze, che esige siano trattati in un altro modo. Che ogni essere umano possiede una dignità inalienabile è una verità corrispondente alla natura umana al di là di qualsiasi cambiamento culturale. Perciò l’essere umano possiede la medesima dignità inviolabile in qualunque epoca storica e nessuno può sentirsi autorizzato dalle circostanze a negare questa convinzione o a non agire di conseguenza. L’intelligenza può dunque scrutare nella realtà delle cose, attraverso la riflessione, l’esperienza e il dialogo, per riconoscere in tale realtà che la trascende la base di certe esigenze morali universali» (FT 213).
La fraternità universale va “riconosciuta” non “costruita”; è questo che la rende ponte di dialogo anche tra religioni diverse, anche tra credenti e non credenti. La fraternità universale non è pertanto solo “oasi”[21] ma “humus”; humus, appunto, della piena umanità.
(c) Vito Rizzo 2021
[riflessione pubblicata sulla Rivista culturale Stroncature]
[1] Francesco, Lettera Enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale Fratelli tutti, 3 ottobre 2020.
[2] Cf Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, 18 novembre 1965, n.2.
[3] Francesco – Ahmad Al-Tayyed «Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune», 4 febbraio 2019.
[4] Edgar Morin, La fraternità, perché? Resistere alla crudeltà del mondo, AVE, Roma 2020.
[5] Ib., 13.
[6] Così spiega Romano Guardini le peculiarità dell’opposizione polare: «non dunque “sintesi”di due momenti in un terzo. E neppure un intero di cui i due rappresentino le “parti”. Meno ancora mescolanza in vista di qualche compromesso. Si tratta al contrario di un approccio originario, in tutto e per tutto particolare; d’un fenomeno originario (Urphänomen). L’uno degli opposti non si può né far discendere né far salire dall’altro». Romano Guardini, L’opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente, Morcelliana 2 2016.
[7] Ib., 14.
[8] Morin, La fraternità, 14.
[9] Cf P.Kropotkin, Il mutuo appoggio: un fattore dell’evoluzione, 1902, richiamato da Morin, Ib., 19.
[10] Cf T.H.Huxley, La lotta per l’esistenza nella società umana, 1888, richiamato da Morin, Ib., 19.
[11] Morin, La fraternità, 23.
[12] Anche in questo passaggio appare evidente il richiamo alla impostazione guardiniana: «ognuna delle “parti”, procedendo da sola lungo la direzione del suo senso, finisce nell’impossibilità; che non può né esistere, né essere pensata in senso “puro”. Se vuole restare possibile, anche l’altra parte dev’essere data insieme ad essa. Ognuna può sussistere solo in rapporto all’altra. Così otteniamo un ordine caratteristico, fatto di esclusione e di inclusione insieme; di differenziazione e di affinità; di pluralità e di unità. […] Non dunque pura esclusione; sarebbe contraddizione. Non pura inclusione; sarebbe identità. È una specie peculiare di relazione, fatta simultaneamente di relativa esclusione e inclusione. È esattamente questa la relazione che chiamiamo opposizione» in R.Guardini, L’opposizione polare, 89.
[13] Ib., 39
[14] Cf Ib., 43-44.
[15] Ib., 42.
[16] Ib., 56.
[17] Ib.
[18] Ib., 13.
[19] Ib.
[20] Guardini, L’opposizione polare, 184.
[21] Cf Morin, cit. 43 ss.
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