Si sente discutere spesso del principio della laicità dello Stato; troppe volte, però, questo viene citato a sproposito confondendo quella che è la doverosa separazione tra le leggi dello Stato rispetto a quelli che sono i convincimenti religiosi, da una esclusione tout court della dimensione religiosa dalla vita pubblica. La polemica in Italia ritorna periodicamente per l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici (prevista da una legge dello Stato), come pure per l’allestimento del presepe come attività didattica (l’IRC è una materia curriculare, sebbene facoltativa, nelle scuole di ogni ordine e grado), come ancora, da ultimo, rispetto al proprio abbigliamento (basti pensare alle polemiche per una giornalista che indossa un crocifisso e all’assoluta noncuranza rispetto a noti influencer che indossano come crocifisso un irriverente Topolino della Disney…).
Negli altri Paesi europei non va certo meglio; e per le altre fedi religiose ancor meno. La questione delle restrizioni alla libera espressione della propria appartenenza religiosa sta assumendo tratti grotteschi in particolare in Francia. Se da un lato, infatti, può apparire comprensibile la legge francese che nel 2010 ha impedito «di coprire il volto negli spazi pubblici», vietando di fatto l’uso del niqab (che mostra solo gli occhi) o del burqa (velo integrale), per ragioni di ordine pubblico ai fini di una tempestiva identificazione delle persone presenti nello spazio pubblico, dall’altro costituisce una lesione dei diritti umani il divieto imposto già dal 2004 che proibisce agli studenti delle scuole statali di indossare indumenti o simboli che «mostrino chiaramente un’affiliazione religiosa», o ancora il Codice di abbigliamento dell’Assemblea nazionale che dal 2018 impedisce ai deputati di indossare «qualsiasi simbolo religioso evidente» .
Non si tratta di garantire la laicità dello Stato e la prevalenza della normativa statuale sulle prescrizioni di carattere religioso; ci troviamo piuttosto di fronte a una ideologia laicista che tende a non riconoscere la legittimità di forme espressive se queste rinviano ad una appartenenza religiosa. Ciò va al di là della pretesa della dimensione privatistica della fede, condizionando la libera manifestazione nella dimensione pubblica di quella stessa fede che dall’ordinamento statuale chiede di essere tutelata e garantita.
La libertà religiosa è un diritto costituzionalmente garantito, la libera espressione della propria fede religiosa è un diritto costituzionalmente garantito, la libertà di culto pubblico è un diritto costituzionalmente garantito. Sono libertà espressamente riconosciute come “diritti umani fondamentali”. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani all’art.18 dispone che «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti». La Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU) all’articolo 9, riprendendo la Dichiarazione dell’ONU, in più aggiunge per maggiore chiarezza che «la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui».
Queste libertà sono costituzionalmente garantite non in virtù di un principio teocratico, ma proprio alla luce di quei valori illuministici fondativi degli Stati nazionali dell’occidente europeo. Quei valori democratici che sovente si ritiene in dovere di esportare anche in altri contesti del mondo. Nella Costituzione del Portogallo, l’art.16 dispone che «Le previsioni costituzionali e legislative relative ai diritti fondamentali devono essere interpretate e integrate in armonia con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo» e all’art.41 ribadisce che «La libertà di coscienza, di religione e di culto è inviolabile». La Costituzione spagnola adotta una disposizione simile all’art.10 «Le norme relative ai diritti fondamentali e alla libertà, riconosciute dalla Costituzione, s’interpreteranno in conformità alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e ai Trattati e Accordi internazionali nelle stesse materie ratificate dalla Spagna» e all’art. 16 precisa ulteriormente che «È garantita la libertà ideologica, religiosa e di culto dei singoli e delle comunità senza altra limitazione, nelle loro manifestazioni, che quelle necessarie per il mantenimento dell’ordine pubblico garantito dalla legge». La stessa Costituzione francese del 1958 nel definire il Paese come uno Stato laico, «assicura l’eguaglianza dinanzi alla legge a tutti i cittadini senza distinzione di origine, di razza o di religione. Essa rispetta tutte le convinzioni religiose e filosofiche». In Italia in linea con il principio enunciato all’art.8 della Costituzione il caposaldo è l’art.19 che riconosce come «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume» e all’art.20 garantisce che «Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività». Nel sistema di common law britannico, unitamente al fondamento giuridico del “Bill of Rights” del 1689, in virtù degli accordi internazionali trovano efficacia la salvaguardia dei Diritti Umani come indicati dall’ONU e nella CEDU.
Interessante è l’approccio della Costituzione dei Paesi Bassi che esplicita il rispetto di questi principi universali ribadendo all’art.1 che «È vietata ogni discriminazione fondata sulla religione, le convinzioni personali, le opinioni politiche, la razza, il sesso o ogni altro motivo», all’art.6 che «Ciascuno ha il diritto di manifestare liberamente la sua ragione e le sue convinzioni, in forma individuale o collettiva, salvo la responsabilità individuale in base alla legge» e all’art.9 che «È riconosciuto il diritto di riunione e di manifestazione, salvo la responsabilità individuale in base alla legge». In questo modo è affermato il principio di presunzione di conformità all’ordinamento statuale, salvo «la responsabilità individuale in base alla legge».
Al di là delle previsioni normative, è del tutto evidente che nei fatti la dimensione religiosa viva oggi in Europa una forte esposizione rispetto al diritto positivo vigente non solo e non tanto per il carattere prescrittivo che a livello personale assumono i precetti religiosi per chi ha fede ma soprattutto per l’assunzione di modelli giuridici che invadono la sfera delle libertà personali senza che ciò sia giustificato da un interesse generale prevalente.
Le misure emergenziali di contrasto al terrorismo da un lato e la relegazione coatta della fede nella sfera privata sembrano ormai divenute un alibi per sospendere le libertà costituzionali soprattutto riguardo alla libera espressione della propria fede, in netto contrasto con la tutela dei diritti umani fondamentali che dovrebbero costituire, invece, il patrimonio e il fondamento giuridico delle democrazie occidentali.
È un problema che non riguarda solo i musulmani o i cristiani, gli ebrei o i buddisti, è un vulnus alle stesse democrazie occidentali. Quelle democrazie che sotto la spinta dell’ideologia laicista sembrano assumere sempre più l’organizzazione, i valori e le forme di moderne ateocrazie. Le ultime vicende di cronaca sembrano confermarlo. Nelle moderne ateocrazie dominate da un pensiero omologante alle opinioni dissenzienti si vuole negare anche diritto di cittadinanza. È quello che provano a fare norme limitative di diritti di libertà, magari ammantate dell’etichetta politically correct di frontiere di civiltà a difesa del rispetto e della libertà… Meditate, gente. Meditate.
(c) Vito Rizzo 2021
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