Ci sono giovani che riescono ad andare oltre uno schermo di un tablet o di un i-phone, che cercano la relazione vera, autentica, fatta di contatto umano, di prossimità, di sguardi senza filtri, di emozioni condivise, di vita vissuta.
Il tempo della pandemia ha costretto tutti in un bunker di paure, di ansie, di distanze, ma sono in tanti quelli che vogliono tornare a mordere la vita, a riprenderne possesso, nel rispetto di sé, dei propri spazi, e nell’attenzione all’altro.
È questo il segnale che è venuto dall’apertura del piano vaccinale anche agli under 30 prima e agli under 18 poi. Giovani in fila dalle cinque del mattino, come per l’ultimo modello dell’i-phone, ma questa volta per contribuire con una scelta chiara e precisa alla normalizzazione della propria quotidianità e alla ripartenza delle abitudini di vita.
C’è un mondo lì fuori e i giovani vogliono tornare a viverlo.
Tanti non hanno rinunciato a farlo nemmeno durante la pandemia, e non sono soltanto gli imprudenti insofferenti degli happy hour sui Navigli, sono i tanti volontari che nel mondo dell’associazionismo hanno alimentato la rete protettiva della solidarietà diffusa. Tanti i giovani che hanno continuato a donare il proprio tempo, il proprio spazio, il proprio impegno per rispondere a questa fase emergenziale. Tanti i giovani che hanno animato i servizi Caritas, le mense dei poveri, le spese a domicilio, il supporto informatico per la prenotazione dei vaccini da parte delle persone più anziane e in difficoltà con gli strumenti digitali.
Quegli stessi giovani, e tanti altri ancora. Sono loro che alimentano la speranza. Quella speranza che, sulla base dell’eredità di Don Milani, la stessa presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha messo al centro del progetto di costruzione di una nuova Europa e di un nuovo spirito europeo: “I care”, mi faccio carico. È questa la bussola che deve guidare le Istituzioni per lo sviluppo di un umanesimo integrale. È questa la bussola che deve guidare i giovani ad essere protagonisti di una nuova agenda politica, sociale, culturale che non li releghi a meri numeri statistici ma che sappia puntare sulle loro competenze, sulla loro crescita, sul loro costruirsi pienamente come persone in relazione. È la prima generazione autenticamente e pienamente nativa digitale; è la prima generazione autenticamente e pienamente sovranazionale; è la prima generazione può scegliere di coltivare le proprie radici anche al di là dell’orto di casa propria.
I giovani sono chiamati ad assumere il senso profondo di questo farsi carico del loro e dell’altrui futuro. Farsi carico delle fratture e delle debolezze, farsi carico delle grandi opportunità che un cambiamento d’epoca immancabilmente propone. “I care”, farsi carico e sentirsi responsabili delle scelte: è questo a cui i giovani sono chiamati, è questo il testimone che sono chiamati a raccogliere da una generazione forse maldestra, non sempre all’altezza del compito, che lascia in eredità una crisi culturale e di valori che interroga con forza e sprona a reagire.
“I Care”, farsi carico. Nella consapevolezza di un modello che lo stesso Papa Francesco non ha mancato di riproporre con forza nella sua Christus vivit; un modello che è Cristo, che è Cristo che vive, che è Cristo che si è fatto carico dell’umanità, dei suoi dolori, dei suoi drammi, dei suoi errori, delle sue sofferenze, e l’ha fatta risorgere. He care, anche Lui si è fatto carico…
Sono i giovani che sanno farsi carico del dramma ambientale, che sanno farsi carico delle sofferenze degli esclusi, che sanno farsi carico di un mondo che corre veloce, che impone una rapidità di pensiero ma che non può rinunciare a un rallentamento sapienziale.
Sono giovani meno appariscenti, forse, delle tristi fotocopie omologate alle tendenze degli influencer di turno, pifferai magici di un vuoto destino già scritto. Sono i giovani che vivono la vita concreta, la vita fatta di altro e degli altri. Sono i tanti che sono pronti a sporcarsi le mani per restare puliti, puri di cuore (Mt 5,8). Sono i giovani su cui investire un futuro tutto ancora da scrivere. Sono gli “originali” tutti da scoprire, luce del mondo, sale della terra (Mt 5,13-16). Sono i giovani che rifuggono da semplicistiche etichette, che non si lasciano imbrigliare dalle mode o dalla narrazione disfattista. Sono i giovani costruttori di speranza, costruttori di umanità, costruttori di futuro. È a loro che il mondo deve aprire le porte.
Questi giovani ci sono, hanno solo bisogno che la società abbia il coraggio di dare spazio al loro coraggio.
È questa sì #unabellastoria tutta da scrivere.
Non calpestiamo i loro sogni, non roviniamo le loro utopie, non zavorriamo i loro slanci.
Innaffiamo le loro radici, riscaldiamo il loro cuore, guardiamo con i loro occhi lucidi alla bellezza di un domani che è pronto a risorgere. Grazie a loro e, magari, anche un po’ grazie a noi.
(c) Vito Rizzo 2021
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