Non è la stampa cattolica a dirlo, notoriamente “retrograda” e “bigotta” (sic!…), ma addirittura la laicissima Fondazione Umberto Veronesi: la cannabis crea nel cervello degli adolescenti danni irreparabili: «Il tetraidrocannabinolo va ad agire su recettori specifici che si trovano in aree del cervello che hanno a che fare con funzioni complesse: come la formazione di un giudizio, la percezione di piaceri, la capacità di apprendere o di memorizzare e il movimento. Il risultato complessivo, per molti piacevole, è in realtà dettato da un disequilibrio del funzionamento generale del cervello. Un aspetto che risulta ancora più pericoloso tra gli adolescenti, dal momento che la struttura risulta ancora in formazione e può accumulare danni permanenti».
Il Thc è il principale componente psicoattivo della cannabis e alterando le capacità percettive di un cervello ancora in formazione causa alterazioni permanenti. Le conclusioni riportate già nel 2019 dalla Fondazione Veronesi sono frutto di uno studio pubblicato sulla rivista Addiction da parte dell’Università di Bath e del King’s College di Londra.
Altra leggenda metropolitana è che pochi spinelli “non facciano male a nessuno”. Qui interviene un altro studio, pressoché coevo, apparso sulle colonne del Journal of Neuroscience, secondo cui «sono sufficienti pochi spinelli per alterare la struttura del cervello negli adolescenti». Nell’osservare le variazioni nei volumi cerebrali di 46 quattordicenni che avevano fatto uso di cannabis soltanto in un paio di occasioni i ricercatori hanno registrato alcune alterazioni a livello dell’amigdala (legata alla paura e altri processi emotivi) e dell’ippocampo (memoria e abilità spaziali). Probabilmente tali alterazioni “strutturali”, quindi “permanenti” derivano dalla loro incidenza sul cosiddetto «pruning», ovvero il processo di rimodellamento neuronale che si registra almeno fino ai 18 anni.
Quindi la cannabis sugli adolescenti fa più male perché rovina irrimediabilmente il loro cervello in formazione neuronale.
Negare questa evidenza per motivi ideologici o politici è un approccio eticamente deprecabile. Non meraviglia che a farlo siano i soliti paladini libertari che non si fermano di fronte a nulla, né di fronte alla morte, né di fronte ai danni provocati ad adolescenti che invece andrebbero dagli adulti accompagnati e tutelati.
Come si legge nelle conclusioni di uno studio commissionato dal Governo: «Gli adolescenti che usano cannabis regolarmente infatti presentano in genere una riduzione della velocità psicomotoria, della ripetizione sequenziale, dell’attenzione complessa, dell’inibizione cognitiva e dell’apprendimento verbale rispetto agli adolescenti astinenti». Ancora «Gli studi qui presentati indicano che il consumo cronico di cannabis durante gli anni dell’adolescenza provocano anomalie strutturali della materia grigia e della materia bianca che sono correlate ai deficit cognitivi menzionati sopra. Infine, aumentano le evidenze secondo cui l’uso pesante di cannabis in età adolescenziale potrebbe compromettere l’attivazione cerebrale, causando una insufficiente attivazione neurale precoce e una diminuita attivazione con un uso continuato in età adulta».
In altri termini, la cannabis è nociva e che persone che in adolescenza ne abbiano fatto largamente uso promuovano o sottoscrivano quesiti referendari volti alla liberalizzazione della droga va considerato come uno degli effetti nocivi dei danni provocati dalla cannabis.
Tutte le considerazioni di opportunità, o forse meglio di opportunismo, che vengono addotte per motivare la bontà della scelta sono del tutto fuori luogo. Ostinarsi a dire che legalizzare le droghe leggere significa contrastare la mafia è un’affermazione puerile, ovvia nella sua evidenza ma di portata estremamente limitata rispetto al giro di affari che la stessa governa. E soprattutto omette di tener conto dei danni “strutturali” alla società che una tale scelta comporterebbe. È ancora più grave, infatti, che si voglia dare una motivazione “nobile” a una semplice (im)posizione ideologica. Qui non si parla della depenalizzazione e dell’accompagnamento terapeutico di cui necessitano i fruitori ma del negare la nocività personale e la pericolosità sociale dell’uso di tali sostanze.
Inoltre è altrettanto ignobile l’accostamento tra gli effetti terapeutici della cannabis e l’innocuità della stessa: è vero esattamente il contrario. Proprio perché un “farmaco” su soggetti sani i cannabinoidi incidono sul corretto funzionamento neuronale… creando un danno. Un farmaco è un rimedio alla malattia, ma se è assunto quando non è necessario è un veleno. Non a caso la parola pharmakon in greco indica entrambe le cose: veleno e medicina. A deciderne la somministrazione deve essere un medico per il bene del paziente, non provetti alchimisti, sedicenti legislatori, che hanno a cuore le loro idee e non il bene, né comune, né dei singoli.
(c) Vito Rizzo 2021
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