Non amo molto la condivisione sui social della propria vita familiare. Mi sembra sovente una ostentazione degli affetti che “mette in mostra” trascurando di vivere con pienezza i momenti. Deriva di quel processo nichilistico che bada molto più all’apparire dimenticando l’essere, e l’essenza delle relazioni; del loro bisogno di essere vissute senza violarne l’intimità.
Troppo spesso mi è capitato di osservare un meta-mondo, ben lontano dalla realtà autenticamente vissuta, un maquillage social per crisi sotterranee relazionali che si fanno fatica ad affrontare.
Non parliamo poi quando di questa ostentazione sono fatti oggetto i figli, medaglie affisse alla propria bacheca, vittime di una sovraesposizione virtuale che diventa prepotentemente una “normalità morbosa”. Alla quale sono i primi ad abituarsi e farne parte stessa della propria essenza, di una crescita che vive del like più che del piacere di gustare e vivere la vita.
Ma non voglio parlare di questo e mi scuso per questo esordio così tranchant.
È da poco trascorso il 19 marzo e sono tante le testimonianze che hanno invaso il mondo virtuale. Tante foto recuperate nei cassetti, tanti post di ricordi, pensieri, meditazioni, accenti sulla forza di affetti che, a distanza di anni, restano sempre fondativi del proprio essere pienamente se stessi.
Parlo dell’invasione dei papà, molti dei quali non ci sono più; o meglio – come sottolineavano i diversi post – sono generativamente presenti nel presente nonostante il loro vivere un’altra forma di pienezza.
Papà che stringevano la mano ai primi passi, incerti, del nostro essere bambini.
Papà i cui sguardi, non visti, non riuscivano a nascondere l’amore per quel dono creaturale.
Papà giocosi, sporchi, indaffarati; agghindati a tutto punto, abbracciati o con piglio fiero.
Papà a cui fare una telefonata; papà ai quali non si può più chiamare.
Papà a cui fare visita, attorno a una tavola, o per un fiore da donare…
Papà presenti, vivi nel ricordo o nella preghiera.
Papà per sempre, come, per sempre, figli dinanzi a loro ci sentiamo.
Ciascuno di loro irrinunciabile.
Ciascuno di loro imprescindibile.
Ciascuno di loro parte, ancora oggi, di quanto, ciascuno di noi, è con fatica diventato.
Ho gustato sui social, spesso fiera della vacuità, lo spirare dell’amore creaturale.
Di quell’amore che più di ogni altro è in grado di mostrare anche a noi, piccoli e imperfetti, la straordinaria gratuità del dono pieno che abbiamo ricevuto; di quell’amore di cui abbiamo fatto esperienza; di quell’amore che, silenziosamente, tiene stretto un filo invisibile che lega i nostri giorni all’aldilà.
(c) Vito Rizzo 2022
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