Inutile negarlo. Molto spesso ad allontanare dalla Chiesa giovani e meno giovani è proprio quanto la stessa professa in tema di morale sessuale. Il celibato, la monogamia, la castità prematrimoniale sono tutti elementi che cozzano talmente tanto con la morale comune da produrre un drastico rifiuto “dell’intero pacchetto” o, nella migliore delle ipotesi, una fede a la carte, in cui ciascuno prende del Vangelo solo e soltanto quello che più gli aggrada.
Non poteva quindi non destare clamore il ribadire, da parte di Papa Francesco, il valore della castità quale elemento di crescita per la coppia.
Al numero 57 degli “Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale”, il papa sottolinea infatti che «non deve mai mancare il coraggio alla Chiesa di proporre la preziosa virtù della castità, per quanto ciò sia ormai in diretto contrasto con la mentalità comune. La castità va presentata come autentica “alleata dell’amore”, non come sua negazione».
Il problema, troppo spesso però, è cedere agli eccessi opposti. Quello che la Chiesa “propone” non è un obbligo escludente ma una virtù che «va presentata come autentica “alleata dell’amore”, non come sua negazione».
È un obiettivo, non un presupposto del vivere con pienezza la propria fede. È difficile spiegarne con pienezza la bontà e il vantaggio se il proprio percorso di fede è soltanto all’inizio, ingenuo o traballante.
Ecco che allora bisogna saper parlare della castità, della sua bellezza, come una conquista.
Come sottolinea ancora il papa «Essa, infatti, è la via privilegiata per imparare a rispettare l’individualità e la dignità dell’altro, senza subordinarlo ai propri desideri. La castità insegna ai nubendi i tempi e i modi dell’amore vero, delicato e generoso, e prepara all’autentico dono di sé da vivere poi per tutta la vita nel matrimonio».
Quello che la Chiesa vuole farci comprendere non è la negazione della bellezza della sessualità ma il rischio che questa bellezza diventi appagante e assorbente rispetto a tanti altri fattori che in una coppia è necessario concorrano alla creazione di una vera e autentica unione. Quante volte e quanto spesso sentiamo dire, anche tra giovani coppie di fidanzati, che i problemi si risolvono “a letto”? Sperimentare la castità significa provare a risolvere i problemi anche “al di fuori del letto”, scegliendo la via che non è di certo né quella più facile, né quella più piacevole, ma che a lungo andare si rivelerà la più solida.
Come sottolinea ancora il documento di papa Francesco «quando, infatti, come spesso accade, la dimensione sessuale-genitale diventa l’elemento principale, se non l’unico, che tiene unita una coppia, tutti gli altri aspetti, inevitabilmente, passano in secondo piano o vengono oscurati e la relazione non progredisce. La castità vissuta nella continenza, al contrario, facilita la conoscenza reciproca fra i fidanzati, perché evitando che la relazione si fissi sulla strumentalizzazione fisica dell’altro, consente un più approfondito dialogo, una più libera manifestazione del cuore e l’emergere di tutti gli aspetti della propria personalità – umani e spirituali, intellettuali ed emotivi – in modo da consentire una vera crescita nella relazione, nella comunione personale, nella scoperta della ricchezza e dei limiti dell’altro: e in ciò consiste il vero scopo del tempo del fidanzamento».
Si tratta di gustare il tempo dell’attesa vivendo il fidanzamento come tempo della semina e non già del raccolto: «Da coniugi, infatti, emerge, in modo ancora più evidente, l’importanza di quei valori e di quelle attenzioni che la virtù della castità insegna: il rispetto dell’altro, la premura di non sottometterlo mai ai propri desideri, la pazienza e la delicatezza con il coniuge nei momenti di difficoltà, fisica e spirituale, la fortezza e l’auto-dominio necessari nei tempi di assenza o di malattia di uno dei coniugi, etc. Anche in tale contesto, l’esperienza degli sposi cristiani sarà importante per spiegare l’importanza di questa virtù all’interno del matrimonio e della famiglia».
Quanti matrimoni falliscono per una impreparazione a vivere le difficoltà della vita coniugale, dello stress relazionale, dell’impegno continuo e costante a costruire un noi che esalti e non comprima le rispettive individualità, che non le isoli ma che sappia viverle nella loro piena complementarità?
È questo il disegno di Dio sul matrimonio del quale la castità prematrimoniale è veicolo di grazia e non un obbligo morale escludente. Riconoscere questa prospettiva può anche aiutare la pastorale familiare e giovanile. Non imporre alle sole forze umane la castità come obiettivo, ma proporre la stessa come veicolo e testimonianza della grazia di Dio. Ciò significa lasciare che ciascuno viva la castità secondo i suoi tempi, i suoi ritardi, le sue cadute; sentendone la bontà che la Chiesa propone e che ciascuno può riconoscere come personale ambizione alla santità (cf Gaudete et exultate n.15).
Bisogna fare attenzione a non cadere in nessuna delle polarità in tensione. Non dire quindi che la castità è “irrilevante” per la bontà di un percorso, ma al contempo è fondamentale riconoscere che non è “escludente”. Alla castità ci si educa, ci si allena, la si impara a riconoscere come virtù; ma questo percorso non lo si fa senza riconoscere la necessità della grazia di Dio che sostiene e soccorre.
L’educazione alla sessualità è molto più complessa di una scelta secca tra castità o meno. Un percorso di grazia può essere vissuto anche da chi, genuinamente, vive la propria relazione affettiva come dono di sé all’altro; certo ben più di chi non riconosce alla sessualità questa dimensione di dono ma solo di fruizione libera o di appagamento fisico. Quale funzione dare all’autoerotismo adolescenziale quale argine alle pulsioni lesive del rispetto altrui? Quale valore dare alla scelta di fare della verginità un totem, mostrandosi lascivi in tutte le altre diverse forme di relazione sessuale?
Educare alla sessualità è un percorso complesso che non può reggersi solo sul “si fa” o “non si fa”. È questa la sfida pastorale a cui è chiamata anche la Chiesa oggi: mostrare la bontà del cammino ma con il cuore amabile di chi sa farsi compagno di strada. Proprio come ai discepoli di Emmaus ai quali è servito tempo perché gli si disvelasse con pienezza il senso delle Scritture (Lc 24,31-32). Da questi itinerari catecumenali, come da Amoris laetitia e prima ancora dalla Familiaris consortio e dalla stessa Humanae vitae abbiamo tutti ancora tanto da imparare.
Una pastorale in discernimento e in cammino, è questo a cui la sequela di Cristo continuamente ci chiama.
(c) Vito Rizzo 2022
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