Nessuno a scandalizzarsi della liberalizzazione dell’aborto “per posta”, con un consulto medico via mail e il tutto spedito, come un pacco amazon, direttamente a casa. Poco importa delle condizioni di salute della donna, del suo stato fisico e psicologico prima e dopo la scelta, libera, di ricorrere alla pratica abortiva. Ciò è diventato la regola in Inghilterra con la pratica della «Pills by post abortions». È una logica che abbiamo già incontrato anche in Italia in piena pandemia, dove l’urgenza sanitaria è stata anche quella di bypassare i consultori a costo di lasciare la donna sola con il suo gesto, priva dei servizi sanitari e psicologici di assistenza. Com’è strano il nostro mondo…
Tutti a scandalizzarsi invece perché in Ungheria si è deciso di rendere obbligatorio l’accesso alla mamma a tutti gli elementi “oggettivi” per assumere una scelta consapevole. Che ciò possa accadere anche in Italia viene brandito come arma elettorale per dare un senso a chi è smarrito nella propria autoreferenzialità valoriale. Si è montato un caso in Umbria e nessuno a chiedersi cosa ci sarebbe di male se fosse vero. Se realmente, prima di compiere un gesto non revocabile, la donna fosse messa in condizione di accedere, attraverso gli strumenti medici del Servizio Sanitario Nazionale, all’ascolto di “cosa” è in gestazione nel suo utero.
Il punto della questione, al di là della grancassa mediatica del pensiero unico, non è la libertà della donna ma la sua consapevolezza nel compiere un gesto drammatico, rinunciare a una vita, rinunciare ad essere madre di un figlio concepito, valutare concretamente tutti gli elementi in campo e non soltanto essere agevolati nel portare a compimento la scelta “più semplice”.
Più semplice di certo per lo Stato, che non si fa carico dei costi sociali di un accompagnamento alla gravidanza; più semplice di certo per il mondo produttivo che non deve preoccuparsi di garantire a una madre il pieno diritto ad essere liberamente donna lavoratrice; più semplice di certo per la politica della radicalizzazione dei diritti che non ha la forza, la capacità, la cultura di elaborare un pensiero complesso e si è fatta schiava della semplificazione del consenso. Più semplice anche per la donna, purché non sappia fino in fondo la verità; purché non senta concretamente di essere custode di una vita; purché non riconosca in quel “grumo di cellule” informi all’occhio umano la forza vitale di un essere umano che ha già avviato il proprio processo di esistenza.
Una deriva social fatta di pollice in su e di pollice verso, triste riproposizione della barbarie gladiatoria che caratterizzava non una democrazia ma un impero, un asservimento al potere dispotico che decideva della vita e della morte: “Ave, Caesar, morituri te salutant”. Oggi condannati nell’arena mediatica del politically correct non sono gladiatori armati fino ai denti, ma inermi bambini con l’unica colpa di essere stati concepiti. Schiavi i primi, schiavi i secondi. Schiave anche le donne, le madri, vittime della menzogna di una verità celata e servita ad uso e consumo di una scelta condizionata come totem precostituito. Pro Choise? Libertà di scelta? No, senza verità è una scelta condizionata all’ideologia dominante. C’è vera libertà soltanto se si è in condizione di conoscere, e di conoscere per poi decidere consapevolmente. In piena libertà. Qui non è in discussione una legge dello Stato, ma la sua mancata applicazione in tutti i suoi aspetti. Tutelare la libertà della donna significa innanzitutto tutelare la propria consapevolezza. Conoscere la verità non è uno strumento per alimentare il senso di colpa; vigliacco è chi lo afferma, schiavo dei cultori della morte. Conoscere la verità, e tra questi ascoltare il battito di una vita che “è”, sebbene non visibile, è qualcosa che va offerto alla donna perché possa, in piena consapevolezza, adottare la scelta che ritiene più giusta per sé e, se vuole, anche per il bambino che le pulsa nel grembo.
Avere paura della verità è la prima, vera, grande spia della libertà costruita sulla menzogna. Lottare per la verità significa, questo sì, difendere la (vera) libertà. “Il re è nudo” ma i grandi media, i politici e i Soloni da salotto, fanno fatica a dirlo.
(c) Vito Rizzo 2022
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