CARLO ACUTIS, L’EUCARISTIA E IL DONO DELLA CO-ETERNITÀ

Anche con i Santi spesso si rischia una semplificazione: quella di ridurre un testimone della presenza di Gesù nella sua vita a qualche frase o a qualche slogan. Accade anche con il Beato Carlo Acutis che rischia di essere relegato a qualche bella frase senza a volte coglierne la profondità. Diceva Carlo che l’Eucaristia era per lui, e per noi tutti, l’autostrada per il Cielo; ma cosa c’è dietro questa frase? cosa c’è dietro questa certezza da Lui profondamente compresa e vissuta?

La mamma Antonia, in un recente libro, Il Segreto di mio figlio, ci ha fatto dono, oltre che della sua testimonianza diretta, di alcune pagine inedite degli appunti di Carlo. Un quindicenne che nei suoi diari annotava le sue riflessioni sulla bellezza di cui faceva esperienza, della bellezza del camminare con Gesù, del conoscere Gesù. Ci sono alcune pagine dei suoi appunti nelle quali Carlo ci parla dell’Eucaristia, una vera e propria catechesi sul dono di salvezza che Gesù ci ha consegnato e che ha affidato alla Sua Chiesa. Per entrare nella riflessione di Carlo dobbiamo partire – come ha fatto lui – da una considerazione iniziale: pensare al modo stesso in cui Gesù, quando era ancora sulla terra, ha “anticipato” il dono dell’Eucaristia ai suoi discepoli. In Gv 6 si può notare che Gesù, per preparare i discepoli al fatto che si renderà presente nel pane e nel vino consacrati, opera due miracoli che mostrano chiaramente come Lui abbia il potere di sospendere le leggi di natura: moltiplica i pani e i pesci e attraversa il Lago di Tiberiade camminando sulle acque.

Ancora oggi, e sempre, Gesù dimostra che ha il potere di cambiare il pane e il vino nel Suo corpo e nel Suo sangue. Di qui l’importanza dei Miracoli eucaristici che Carlo sentì il desiderio di raccontare in maniera così puntuale nella sua mostra: nei miracoli eucaristici Gesù continua a sospendere “visibilmente” le leggi di natura e ci istruisce sulla sua presenza reale nell’Eucaristia. È qualcosa che solo Lui può fare, che solo Dio può fare. E a noi viene offerta questa bellezza straordinaria, questo bene di partecipare, già qui, sulla terra a quella che nei suoi appunti Carlo chiama spesso la co-eternità.

In greco ci sono due termini per definire il tempo: kronos e kairòs. Il tempo lineare, fatto dello scorrere dei secondi, dei minuti, delle ore, dei giorni, il kronos; e quello “opportuno”, quello in cui accade realmente qualcosa di decisivo nella nostra vita, il kairòs. Questa era una distinzione che facevano molto laicamente anche gli stessi filosofi dell’antica Grecia, ma cosa ci dà in più la comprensione del Mistero di Gesù Cristo? Ci dà la consapevolezza che quel kairòs è Lui; è tutto ciò che avviene, in questo tempo e in questa storia, che ci riconduce a Lui. È uno squarcio nel tempo lineare che ci apre a partecipare già oggi, qui, ora a un’esperienza di eternità.

L’Eucaristia è l’esperienza più forte, ricca, immediata, di questa finestra che si apre.

E allora Carlo ci aiuta a capirlo, portandoci per mano nel “ragionamento” che non è fede cieca ma apertura della ragione alla comprensione del trascendente.

Carlo ci offre tre piste: cosa significa per Gesù abitare in mezzo a noi, il perché dell’incarnazione e infine cosa c’è in quell’avvenimento di cui possiamo fare esperienza nella Santa Messa. Se proviamo a percorrere con Carlo queste tre piste possiamo leggere con occhi diversi anche il rapporto stesso tra Noi e l’Eucaristia.

Come ci racconta la mamma Antonia, nei suoi appunti Carlo scriveva:

«E il Verbo si fece carne… assumendo la natura umana, associandola alla natura divina in un’unica persona divina… e venne ad abitare in mezzo a noi. Ma il termine abitare, che è un verbo latino, viene dal verbo habere, che significa avere, ma ha molti significati come ausiliare. Vuol dire… di colpo… avere, ma vuol dire tenere, frequentare, vuol dire possedere, vuol dire santificare, vuol dire assimilare, vuol dire connaturare, vuol dire gemellare, e tante altre cose… Quindi dobbiamo prendere questo termine: “abitò in mezzo a noi” come un termine molto più generale, molto più universale, molto più ampio, infinitamente più ampio, quindi quando io dico “e il Verbo si fece carne e abitò in mezzo a noi” dico una cosa di per sé molto riduttiva, che non traduce il pensiero del verbo ispirato dall’Evangelista Giovanni, che nello scrivere per mezzo dello Spirito Santo, intendeva dire molte cose. Gesù quando ha assunto la natura umana, e si è fatto Uomo, è sceso su questo pianeta, non come un extraterrestre, ma come “Uno” che, abitando fuori del tempo e dello spazio, è entrato, con la natura, nel tempo e nello spazio e se l’è come inglobata, come assimilata, coma annotata, come gemellata. Per cui Gesù è diventato, come dice l’Apostolo Paolo: “Tutto in tutti…” e allora ha preso di questo pianeta la vera realtà, la vera sostanzialità; questo pianeta Terra che fa parte della creazione, quindi dell’universo. Prima dell’Incarnazione, l’umanità, prigioniera nella colpa originale e attuale, si era portata avanti nei secoli un abisso che sembrava insondabile, insormontabile. Ma ad un certo punto “l’Amore” ha prevalso sulla “Giustizia”, la “Misericordia” ha prevalso sulla “Pena” e il peccato è stato sconfitto dall’Incarnazione…».

Nei suoi appunti Carlo, rivolgendosi direttamente a Gesù, ad un certo punto esclama:

«Questo pianeta che ha visto in Te, per una generazione, la seconda Persona della Santissima Trinità, incarnata, da venti secoli, non è più quello di prima. Sì, astronomicamente, scientificamente, geologicamente, può essere il pianeta di prima, ma, dal punto di vista dell’Evangelo, dell’Incarnazione, non è più il pianeta di prima, è un pianeta che è stato inglobato nell’Eternità, in un disegno divino, per cui noi siamo veramente immessi, da ventuno secoli, in questo disegno. Dobbiamo pensare a questa “abitazione” come a una appropriazione del pianeta da parte di Gesù, quel Gesù che si muove tutt’ora nell’Eucaristia, come nella fede, in mezzo a noi, per cui cammina in mezzo a noi, vive in mezzo a noi, con noi divide questo quotidiano, sia nell’Eucaristia, sia nella fede, per cui dobbiamo vedere questa abitazione come un vero dimorare di Cristo in questo pianeta Terra».

Nel momento in cui apriamo i nostri spazi di comprensione al senso profondo di questo abitare di Gesù in mezzo a noi, ci rendiamo conto che l’Eucaristia è “seconda Incarnazione” che – come appuntava Carlo –

«viene ad essere veramente, non tanto il Sacramento inteso ritualmente, quanto il Sacramento inteso Soprannaturalmente. Per cui quando facciamo la Comunione, Gesù che si ferma in noi quindici minuti nascosto sotto la specie del pane e del vino, sostanzialmente presente, veramente abita, nel senso che ho detto prima. Cioè con noi divide questa quotidianità e continua, dopo che si sono decomposte le specie del pane e del vino, con la Sua Grazia, la Sua abitazione con noi. Per cui noi diventiamo la Sua casa, la Sua abitazione, per cui Gesù, vivo e vero, non è soltanto un atto di fede, non è soltanto un fatto di “sacramentalità”, ma è un fatto di “Vita”! Cioè, Gesù è con me e io con Lui, come un fatto estremamente personale, individuale. […] Attraverso l’Eucaristia verremo trasformati nell’Amore».

La gioia di Carlo nella partecipazione alla celebrazione eucaristica quotidiana è uno dei messaggi più semplici e diretti della sua spiritualità; nei suoi appunti lo spiegava molto bene:

«Se i cristiani capissero cos’è la Messa, farebbero a gara per entrare in chiesa, per non lasciarla mai, perché veramente è un atto creativo di vita dentro di noi ed è la stessa vita di Gesù. La Messa non è una devozione: la Messa è un avvenimento, qualcosa di grande che accade dentro di noi, nella nostra vita, in cui veniamo coinvolti con Gesù, come co-immolati con Lui. La Messa non è altro che il sacrificio della Croce, l’unico eterno sacrificio che si rinnova e che ci coinvolge intimamente nel nostro essere membra del Suo Corpo. […] Il Paradiso è già dentro di noi e noi siamo già nel Paradiso. Finché siamo su questa terra, però, questo amore è crocifisso. […] La caratteristica dell’amore su questa terra sarà sempre quella di essere un amore crocifisso. Uniti a Gesù, il suo amore crocifisso ci genera; ma è una croce che dà la vita, non la morte: la sua Croce dà Resurrezione, per cui non è né tristezza né disperazione. Sarebbe disperazione se soffrissimo per ciò che non dà la vita. Nell’Eucaristia avviene questa osmosi: l’amore sacrificato di Cristo mi prende e trasforma la mia persona, i miei sentimenti, la mia volontà, tutto me stesso. Entro in Gesù, nel suo intimo mistero e divento Lui, raggiungendo quella comunione essenziale e fondamentale con il mio Signore per cui sono stato creato. Lui passa dentro di me e io dentro di Lui. Se cominciate ad andare a Messa tutti i giorni, non ce la fate più a smettere. E vi assicuro che vi succederà questo: se prima non trovate il tempo per fare niente, dopo che siete andati a Messa trovate il tempo per fare tutto. Fate questa esperienza!».

Una considerazione, quella di Carlo, che teologicamente – come osserva la mamma Antonia – è stata efficacemente esplicitata anche da un gigante quale Papa Benedetto XVI. Ecco che allora quando nel Padre Nostro si recita “dacci oggi il nostro pane quotidiano”, l’aggettivo “quotidiano” in greco è un derivato composto da επι-ουσίꭤ, dove επι sta per “sopra” e ουσίꭤ sta per “sostanza”. È presente solo due volte nella Bibbia greca, solo nelle due versioni del Padre Nostro. Viene tradotto con il termine “quotidiano”, ma potrebbe alludere anche al pane “sopra-stanziale”, al pane “del mondo a venire”: «è il pane della vita eterna, del nuovo mondo, che ci è dato oggi nella Santa Messa, affinché sin da ora il mondo futuro abbia inizio in noi. Con l’Eucaristia dunque il Cielo viene sulla terra, il domani di Dio si cala nel presente e il tempo è come abbracciato dall’eternità divina».

Qual è dunque per Carlo il rapporto che dobbiamo instaurare con l’Eucaristia? con Gesù nella Eucaristia? con Gesù attraverso l’Eucaristia? È una testimonianza che ci rimanda molto anche al senso profondo dell’esperienza di vita di Carlo e alla sua spiritualità, così vicina anche a quella di San Francesco, profondamente intrecciata con la sua esperienza di vita, sia prima che dopo la sua nascita al Cielo.

«Gesù parla di un chicco di grano caduto in terra che, se non muore, rimane solo. Oso dire che siamo tutti questo chicco di grano, nel senso che siamo tutti in una posizione minima, come un chicco, però un chicco talmente prezioso che il Signore si aspetta da esso tutto quanto si può immaginare. Abbiamo dentro di noi una grande risorsa che sia chiama spirito o anima, ed è la componente sostanziale del nostro organismo in quanto noi siamo composti di anima e di corpo. Ma l’anima è semplice, e ciò che è semplice, non è decomponibile, non è complicato. Quindi la nostra anima non è fatta per il tempo e per lo spazio. Ora come ora, finché viviamo, siamo come chiusi in una trappola, in una gabbia, che si chiama tempo-spazio, di cui siamo dipendenti, perché il tempo e lo spazio ci rendono difficile l’esistenza, ma abbiamo lo spirito, che essendo semplice, è immortale ed essendo immortale, non deve rimanere nel tempo e nello spazio. Quel chicco che siamo tutti noi, viene messo in fondo alla terra per essere maturato e potersi sviluppare e portarsi a “livello di anima”, che non vuole né tempo, né spazio, ma è fatta per l’Eternità. Ma oltre ad essere questo chicco di frumento siamo anche ragione, e bisogna che noi collaboriamo allo sviluppo di questo chicco. Per poter favorire questo sviluppo, che permetta al chicco di diventare spiga e frumento, ci vogliono due virtù che dobbiamo praticare: l’umiltà e la semplicità. […] D’altra parte la parola umiltà deriva dalla parola latina humus che vuol dire terra, quindi umile è colui che proviene dalla terra, sta in basso, che si tiene basso. Se noi ci sentiamo al di sotto di Dio, siamo nella proporzione. E nella proporzione, siamo nell’umiltà. L’umiltà che ci fa mantenere il nostro posto. […] La semplicità è la virtù del non complicare, come dice il termine latino simplex, ed è composta da due elementi sem e plecare. Sem che vuol dire “una volta sola”, e plectere che vuol dire piegare. Il termine opposto alla parola semplice è “complicato”, che deriva dal latino complicare e significa piegare insieme, avvolgere. Quindi “complicato” vuol dire piegato su se stesso, reso meno semplice, essere confuso, difficile da comprendere. Quindi la semplicità è proprio l’arte di non raddoppiare, di non complicare, ma di lasciare tutto a livello aperto, a disposizione della gloria di Dio e dei nostri fratelli. Queste due virtù consentono al chicco di uscire dalla madre terra e di svilupparsi e diventare frumento. Questo frumento diventa farina, questa farina diventa pane, e questo pane diventa quella specie o apparenza che ci vuole per la santa Eucaristia. Quando Gesù parla di chicco di frumento, pensa a Sé come Pane consacrato e transustanziato, e pensa a noi, persone che di questo Pane vivono, ed in questo Pane esistono, e con questo Pane si portano per l’Eternità. Quindi chiediamo a Gesù: O Dio fammi chicco produttivo, chicco efficiente, chicco efficace. Gesù fammi chicco di frumento in modo che io possa raggiungere la tua realtà Eucaristica, della quale, veramente e realmente vivo».

Vivere l’Eucaristia significa imparare a vivere Cristo per vivere in Cristo. È questa la bellezza che il Beato Carlo ci invita a gustare, a far nostra. È questa la bellezza di Gesù che dobbiamo amare e far conoscere. Ciascuno di noi, apostolo, come Carlo, del dono della co-eternità, di quel pezzo di Paradiso che, grazie a Gesù e alla Chiesa, può essere reso presente ogni volta anche in questo tempo, in questo spazio, in questa storia.

(c) Vito Rizzo 2022

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