LA JUVE E LA BIBBIA: “NOVE SCUDETTI VINTI E POI PERDO LA REPUTAZIONE, NE VALE LA PENA?”

Nicola Legrottaglie non è nuovo a posizioni controcorrente. Quando era un calciatore di Serie A, in particolare con le maglie del Chievo Verona e della Juventus, fece scandalo la sua confessione di aver scelto di vivere in maniera casta il proprio fidanzamento con Erika Cerboni, prima di sposarla e aprirsi al dono della vita. Tra compagni di squadra che vivevano il proprio tempo libero tra festini e avventure last minute, a ventott’anni la svolta, l’incontro con Gesù che sovverte tutte le chiavi di lettura di quel mondo ovattato e le sue stesse priorità.

Da allora la lettura della Bibbia accompagna non solo le sue scelte di vita ma anche il modo stesso di rileggere in maniera sapienziale la propria e l’altrui storia recente. È per questo che non sorprende l’onestà intellettuale con la quale Legrottaglie ha deciso di interpretare le tristi vicende della propria ex squadra. Falsi in bilancio, acquisti “truccati”, “carte segrete”. Le indagini della CONSOB (l’organismo di controllo della Borsa di Milano) dove la società è quotata hanno aperto uno squarcio anche nella coltre di omertà tipica della giustizia sportiva. I segnali c’erano tutti eppure si è fatto finta di non vedere, di non sapere di non capire.

Nicola Legrottaglie ha deciso di dire la sua ricorrendo alle parole della Bibbia: Versetto 1, capitolo 22 del libro dei Proverbi: “La buona reputazione è da preferirsi alle molte ricchezze; la bontà è meglio dell’oro e dell’argento”. È da questo versetto che l’ex calciatore cerca di raccontare il senso di ciò che è accaduto negli anni scorsi e che ora, a pochi anni da calciopoli, vede di nuovo coinvolta la Juventus in indagini della magistratura sportiva e penale.

La riflessione biblica è una risposta a quanti ritengono che “vincere è l’unica cosa che conta”. Da tifoso della squadra bianconera, ma prima di tutto da cristiano, Legrottaglie si pone però una domanda diversa: “Hai vinto sul campo, ma probabilmente, con questo sistema, non sei stato forse avvantaggiato per fare mercato?”. In altri termini se altre società per far quadrare i conti erano costrette a vendere i propri giocatori migliori mentre magari, alterando i conti, la Juventus si poteva permettere di acquistarne di altri, siamo sicuri che quei campionati non siano stati falsati? Nel 2015 la Juve strappa il titolo alla Roma e nell’estate successiva gli soffia Pjanic per 41 milioni, l’anno dopo supera il Napoli al fotofinish e a fine stagione acquista il suo cannoniere Higuain per 90 milioni di euro, nel 2017 prende l’astro nascente Bernardeschi per 40 milioni dalla Fiorentina, nel 2018 acquista in un colpo solo Cristiano Ronaldo per 117 milioni, Joao Cancelo per 40 milioni, Douglas Costa per 40 milioni e Bonucci per 35 milioni… Lecito chiedersi se poteva permetterselo.

Per un cristiano vincere non è “l’unica cosa che conta”. Basterebbe riprendere in mano le tavole della legge per trovare alcuni moniti che sono stati chiaramente disattesi dalle scelte antisportive portate avanti in questi anni: “non rubare”, “non pronunciare falsa testimonianza”, “non desiderare la roba d’altri”… Legrottaglie con il clamore riservato a un ex calciatore ha solo il “torto” di ricordarcelo. Come qualche anno fa “ha avuto il torto” di ricordare che vivere il fidanzamento in maniera casta è un’alternativa che serve a costruire un futuro matrimoniale più solido. Cercare scappatoie non aiuta a vivere una vita sana. Ciò che vale della dimensione affettiva vale anche per altri generi di passioni.

Se è logico che una competizione sportiva si regga su uno spirito di competitività che è alimentato dal desiderio di vincere, non bisogna mai dimenticare che, per l’appunto, vincere “non è l’unica cosa che conta”. Se salta questo ogni mezzo viene ritenuto lecito per conseguire il risultato. È questo quello che si vuole? È questa l’anima dello sport? Un cristiano deve imparare a non farsi schiavo delle proprie passioni, fossero anche quelle calcistiche. È in questo esame di coscienza pubblico che Legrottaglie ci offre un grande insegnamento: “Nove scudetti vinti e poi perdo la reputazione, ne vale la pena?”. La sua risposta è chiara, quella di tanti altri, al momento, decisamente no.

(c) Vito Rizzo 2023

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