Chissà cosa avranno pensato i re Magi seguendo la stella…
Una stella cadente? No, è ancora lì.
Una stella cometa, un passaggio che segna, che in-segna, purché ce ne lasciamo affascinare.
I magi lo hanno fatto. Loro colti, sapienti, ricchi (di conoscenza) ma non appagati. In fondo come i ricchi di beni materiali… Mai sazi del loro avere e del loro potere. Ma c’è una differenza profonda tra il vuoto avido del cuore e lo spazio che, sempre nel cuore, attende di essere riempito dalla pienezza. Dalla pienezza di vita, dalla pienezza di senso.
Cosa sono allora le luci che ci guidano al Natale? Sono senso di vuoto o di pienezza? Sono desiderio di avidità, di possesso, di acquisto o sono ricerca di senso, ricerca di noi?
In fondo il Natale ci ripropone ogni anno questo dilemma e forse proprio per questo qualcuno, tanti, sempre di più, cercano finanche di annullarne il nome. Cancellarne il nome per cancellarne il senso.
“Festa d’Inverno” secondo alcuni, tanti, troppi.
Un tentativo chiassoso di “cambiare i connotati” non soltanto al Natale ma al nostro stesso “essere umani”.
Del resto ci vuole coraggio per essere umani, come canta anche Marco Mengoni.
Coraggio ad accettare i propri limiti, le proprie fragilità e ricercarne il senso senza l’illusione di sommergerle tra pacchi infiocchettati, shopping, apericene o tombolate.
Il mistero del Natale è infatti proprio nella fragilità, voluta, ricercata, scelta, di chi “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,6-8).
Il mistero della nascita è sempre, infatti, mistero della risurrezione, della ri-nascita. Che passa per il mistero della croce.
È proprio grazie al Natale, al farsi piccolo di Dio che l’uomo si apre alla possibilità della redenzione.
Farsi piccolo, fragile, per rinascere.
È in fondo a questo che ci invita il Natale, ciascun giorno natale, di nascita.
È proprio questo che fa paura oggi.
Il miracolo del nascere, l’accoglienza della vita, come fonte del ri-nascere.
È l’esperienza dei genitori che ri-nascono mettendo al mondo un figlio, ciascun figlio.
È l’esperienza di chi accoglie, di chi accoglie una vita, un povero, un abbandonato.
L’accoglienza è sempre esperienza di ri-nascita.
Il rifiuto del Natale è il rifiuto dei natali, dei piccoli natali che arricchiscono la famiglia e l’intera società.
È di questo che si ha paura.
Si ha paura di riconoscersi fragili nascondendosi dietro false sicurezze: la libertà, la carriera, il successo, le ricchezze, l’effimero.
Si ha paura di riconoscersi fragili perché si ha paura delle sfide che si aprono con una ri-nascita.
Si deve imparare tutto daccapo; si deve imparare a camminare da soli, si deve imparare a scoprire con occhi nuovi il mondo.
Ci vuole coraggio.
Per accogliere sé stessi e per accogliere un altro essere umano.
Ci vuole il coraggio di “essere umani”.
È forse questo che del Natale fa paura. Accogliere un bimbo e lasciarsi interrogare nell’intimo dalla sua fragilità, dalla sua povertà, dal suo bisogno e dal suo dono d’amore.
Ma nel cuore di Dio, come con Gesù, bambino, e poi umiliato, morto e risorto, così è per ciascuno di noi.
E allora questo Natale ricerchiamo il senso vero, il senso pieno. Festeggiamo realmente la venuta di Dio, in quel giorno e ogni giorno, “perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 10-11).
Festeggiamo in ginocchio questo Natale; solo così potremmo rialzarci, risollevarci dalle nostre paure e rinascere, insieme con Lui.
(c) Vito Rizzo 2023
[pubblicato in AA.VV. 08, L’Argolibro, Agropoli 2023]
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