È probabilmente una delle intuizioni profetiche che Papa Francesco ha saputo meglio interpretare in questi anni, mi riferisco a quella che potremmo definire la teologia delle periferie, ossia la consapevolezza che nelle diverse periferie geografiche, umane, esistenziali, ecclesiali si radica un “luogo teologico” in cui Dio si rivela libero dalle impalcature in cui spesso noi credenti Lo abbiamo ingabbiato. Può sembrare un ossimoro, eppure la centralità della periferia si presenta come una prospettiva di straordinaria ricchezza nel cammino ecclesiale.
1.La periferia “luogo teologico”
La periferia infatti non è solo e non tanto il luogo della marginalità sociale, ecclesiale, esistenziale ma, proprio per il suo carattere di marginalità, è strutturalmente luogo teologico della centralità di Cristo. La stessa storia della salvezza assume del resto le periferie quale spazio di rivelazione privilegiata di Dio, gli ebrei sono periferia dei grandi sistemi politici (ed è proprio a causa di ciò che riescono a costruirsi una identità nella fede nell’unico Dio), Gesù stesso è un uomo di periferia, un “ebreo marginale”, periferica è la sua predicazione e la stessa provenienza dei primi discepoli (cf Mc 1,14-20; Mt 4,12-22; Lc 5,1-11), periferici, marginali, sono i beati che lo seguono (cf Mt 5,1-12, Lc 6,20-23), periferiche nella società del tempo le donne a cui il kerygma attribuisce, invece, assoluta e piena centralità. Come osserva Ambrogio Spreafico: «Dio sceglie un popolo periferico, perché a partire da lui si possa ricostruire la storia dell’umanità. Dalle periferie parte una nuova storia, dalla periferia Dio interviene per riprendere il suo posto nella storia del mondo» (1).
Al numero 20 di Evangelii gaudium Francesco invita esplicitamente ogni cristiano e ogni comunità ad «uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo». È la Chiesa in uscita che lo stesso Papa riprende al n.46 dell’esortazione apostolica: «una Chiesa con le porte aperte». Come quella del padre misericordioso della parabola, che ha saputo attendere, pazientare, e poi correre incontro e gioire (Lc 15, 11-32).
Come chiarisce Papa Francesco infatti «uscire verso gli altri per giungere alle periferie umane non vuol dire correre verso il mondo senza una direzione e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada. A volte è come il padre del figlio prodigo, che rimane con le porte aperte perché quando ritornerà possa entrare senza difficoltà» (EG 46).
Quando Francesco invita quindi a ripartire dal primo annuncio, non può non riconoscere in questo spirito e in questo cambio di prospettiva la centralità delle periferie. Come osserva Andrea Riccardi: «La passione per le periferie non è solo un orientamento del pontificato di Francesco; non è solo lo spirito evangelico e missionario che promana dal Vaticano II. È qualcosa che i cristiani hanno già vissuto nella loro storia […] e che oggi si ripresenta come una prospettiva e una domanda. La passione è anche capacità di farsi interrogare dalla presenza degli “altri”, di coloro che sono, per storia, estranei (si pensi ai fedeli di altre religioni come i musulmani) o distaccati dal cristianesimo. Un cristianesimo “missionario”, cioè capace di uno slancio universale (e libero da un ripiegamento minoritario e settario), è spinto a incontrare l’altro personalmente e a farsi interrogare dalla sua alterità. […] La rigenerazione della Chiesa e del vivere cristiano parte proprio dalla passione per le periferie e per i periferici, anzi dalla riscoperta del gioioso compito di vivere e comunicare il Vangelo in periferia» (2).
2.La “conversione ecclesiale”
La teologia della periferia impone una conversione radicale dell’essere Chiesa nel mondo contemporaneo: non una difesa ad oltranza di rendite di posizione sempre più minoritarie ma – come afferma papa Francesco – il coraggio di «tenere la posizione» non rinunciando a farsi prossimi di un’umanità smarrita.
La periferia, qualunque tipo di periferia, quale luogo degli ultimi, assume in sé una sempre originale e originaria centralità di Cristo ed è ciò che la rende al tempo stesso tanto privilegiato luogo missionario, quanto punto di prospettiva per guardare la Chiesa universale. L’icona del buon samaritano, scelta quale traccia della Fratelli tutti, serve proprio a rimarcare l’urgenza pastorale di questa doppia esigenza. È l’assunzione della prossimità che consente alla Chiesa di «manifestare che il vangelo è già presente e all’opera nella storia, non soltanto della Chiesa ma anche nella società, ancor prima di essere annunciato» (3), come del resto aveva già rimarcato il Concilio Vaticano II al capitolo 7 del Decreto conciliare Ad gentes.
È da questa prospettiva, osserva il teologo francese Christoph Theobald, che nasce la visione stessa del Poliedro proposta da Francesco in Evangelii gaudium (EG 236) «più il vangelo riceve la linfa dal terreno dove è impiantato, più la Chiesa prende una forma poliedrica e può diventare allora segno di un altro modo di accedere all’unità, diverso da quello totalmente astratto veicolato dalla mondializzazione» (4).
La necessità della prossimità è dunque uno degli aspetti fondamentali del “metodo Bergoglio”; è a partire da questa vicinanza che il popolo non è percepito più soltanto come oggetto ma diventa protagonista dell’esperienza teologica (5). Rielaborando quella che è stata una delle più acute sensibilità della filosofa argentina Amelia Podetti (6), Papa Francesco, o meglio, l’allora cardinale Bergoglio, ha introdotto già nei lavori di Aparecida la centralità delle periferie nella loro accezione più ampia: periferie urbane, economiche, sociali, esistenziali (7).
Serve dunque alla Chiesa universale un cambio di prospettiva che riprenda un po’ lo “sguardo di Magellano”: «i grandi cambiamenti della storia – afferma Francesco – si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia. […] Per capire davvero la realtà, dobbiamo spostarci dalla posizione centrale di calma e tranquillità e dirigerci verso la zona periferica. Stare in periferia aiuta a vedere e capire meglio, a fare un’analisi più corretta della realtà, rifuggendo dal centralismo e da approcci ideologici» (8).
È questo del resto l’invito che Francesco ha espressamente rivolto anche alla comunità accademica. Alla domanda su quale sia il compito della teologia dopo Veritatis gaudium, ha chiaramente risposto che la teologia «deve sintonizzarsi con lo Spirito di Gesù Risorto, con la sua libertà di andare per il mondo e raggiungere le periferie, anche quelle del pensiero. […] Cercare nuove vie […e] lavorare nella direzione di una “Pentecoste teologica”, che permetta alle donne e agli uomini del nostro tempo di ascoltare “nella propria lingua” una riflessione cristiana che risponda alla loro ricerca di senso e di vita piena» (9).
Conclusione
Vivere le periferie, assumerle nella stessa comprensione kerygmatica e missionaria della Chiesa è una fonte di grazia a cui la Chiesa deve saper attingere con naturalezza, lasciandosi interrogare e lasciandosi trasformare, proprio per conservare la fedeltà allo spirito del primo annuncio che soltanto nella storicizzazione conserva la sua ontologica attualità. Una spinta centripeta che deve essere raccolta ed elaborata dalla Chiesa universale anche valorizzando i sinodi quale strumento di maturazione dottrinaria e pastorale (10). La riscoperta della dimensione sinodale della Chiesa, a tutti i livelli, è una delle cifre di questo pontificato: un metodo che investe pienamente la Chiesa, il suo rapporto con il pueblo fiel, e la capacità kerygmatica di alimentarsi attraverso la forza creativa di sempre originali processi di inculturazione, come pure delle istanze che provengono dalle energie missionarie delle chiese locali (11).
Del resto Dio anticipa sempre, primerèa. Stare nelle periferie, vivere l’umanità del mondo, aiuta a riconoscerlo prima che si rischi di tradirlo dietro false sicurezze. È questo a cui la centralità delle periferie e il riconoscere le stesse come “luogo teologico” urgentemente ci richiama.
(c) Vito Rizzo 2023
[pubblicato in V.Rizzo (ed.), Su questa pietra. Atti del Festival della Teologia Incontri 2021-2023, effed’i, Agropoli (SA) 2023, 13-16]
(1) A. Spreafico, «Le periferie geografiche e umane nella Scrittura», in M. Gnavi (ed.), Carità e globalizzazione, Francesco Mondadori Editore, Milano 2014, 86.
(2) A. Riccardi, Periferie. Crisi e novità per la Chiesa, Jaka Book, Milano 2016, 122-123.
(3) C. Theobald, Urgenze pastorali. Per una pedagogia della riforma, tr.it., EDB, Bologna 2019, 354.
(4) Ibidem
(5) Cf J.L. Narvaja, «Un avvicinamento alla teologia “mitica” di popolo: Bergoglio, Guardini, Dostoevskij», in F. Mandreoli (ed.), La Teologia di papa Francesco, 13ss.
(6) Cf M. Borghesi, Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Jaka Book, Milano 2019, 287.
(7) Cf A. Ivereigh, Tempo di Misericordia. Vita di Jorge Mario Bergoglio, tr.it. A. Piccato – L. Serra, Mondadori, Milano 2014, 342.
(8) A. Spadaro, «“Svegliate il mondo!”. Colloquio di Papa Francesco con i Superiori Generali», in La Civiltà Cattolica 165 (2014) I, 5-6.
(9) Francesco, «La teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto del mediterraneo», in S. Bongiovanni – S. Tanzarella (ed.), Con tutti i naufraghi della storia, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2019, 229-230.
(10) Per una trattazione più ampia del tema cf V. Rizzo, Chiesa, dove sei? Papa Francesco e la Chiesa del terzo millennio, effed’i, Agropoli (SA), 2022
(11) Cf F. Ferrari, Francesco il papa della riforma, Paoline, Milano 2020, 56-82.
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