Papa Francesco, intervenuto la scorsa settimana alle Settimane Sociali di Trieste promosse dalla Conferenza Episcopale italiana, si è soffermato sul ruolo della democrazia e sulla responsabilità che spetta ai cattolici di dare il proprio contributo di idee, di valori di stile al dibattitto pubblico. Raccogliendo lo spunto offerto dal titolo dato alla settimana “Al cuore della democrazia” il Papa ha messo in evidenza come «possiamo immaginare la crisi della democrazia come un cuore ferito. Ciò che limita la partecipazione è sotto i nostri occhi. Se la corruzione e l’illegalità mostrano un cuore “infartuato”, devono preoccupare anche le diverse forme di esclusione sociale. Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani, i vecchi. Questo è la cultura dello scarto». Nonostante questo disagio, cresce la disaffezione per la politica. È un circolo vizioso: la politica dà un cattivo esempio, crea disaffezione, le persone animate da buoni propositi si allontanano, gli elettori pure e il sistema di potere si autoalimenta del peso elettorale di quanti concorrono al sistema… Accade a livello nazionale, a livello locale e anche – lo abbiamo sperimentato da poco – anche a livello europeo.
Papa Francesco denuncia un problema che ha radici culturali molto più profonde: «La parola stessa “democrazia” non coincide semplicemente con il voto del popolo; nel frattempo a me preoccupa il numero ridotto della gente che è andata a votare. Cosa significa quello? Non è il voto del popolo solamente, ma esige che si creino le condizioni perché tutti si possano esprimere e possano partecipare. E la partecipazione non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va “allenata”, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche». Non esistono risposte “facili”, la società è complessa ed esige soluzioni complesse che tengano conto dei diversi fattori in gioco. Tra questi non va di certo esclusa la dimensione spirituale, «è importante far emergere l’apporto che il cristianesimo può fornire oggi allo sviluppo culturale e sociale europeo nell’ambito di una corretta relazione fra religione e società, promuovendo un dialogo fecondo con la comunità civile e con le istituzioni politiche perché, illuminandoci a vicenda e liberandoci dalle scorie dell’ideologia, possiamo avviare una riflessione comune in special modo sui temi legati alla vita umana e alla dignità della persona».
Le ideologie, di destra e di sinistra, sottolinea il papa con una efficace metafora, sono come il pifferaio magico «seducono, ma ti portano a annegarti». Anche lo stile della politica, quindi, ha bisogno del contributo cristiano, quello autentico e non strumentalizzato da una parte o dall’altra: «La democrazia richiede sempre il passaggio dal parteggiare al partecipare, dal “fare il tifo” al dialogare». Di qui l’incoraggiamento a partecipare, «affinché la democrazia assomigli a un cuore risanato». È proprio raccogliendo questo invito che Trieste ha visto mettere in campo alcune delle realtà politiche ispirate nel mondo cattolico e che sono chiamate a fare rete: PER, Comunità di Connessioni, Insieme, base popolare… È principalmente a loro che è rivolto l’accorato appello del papa: «Non lasciamoci ingannare dalle soluzioni facili. Appassioniamoci invece al bene comune. Ci spetta il compito di non manipolare la parola democrazia né di deformarla con titoli vuoti di contenuto, capaci di giustificare qualsiasi azione. La democrazia non è una scatola vuota, ma è legata ai valori della persona, della fraternità e anche dell’ecologia integrale. Come cattolici, in questo orizzonte, non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata. Ciò significa non tanto di essere ascoltati, ma soprattutto avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico. Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. No. Dobbiamo essere voce, voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Tanti, tanti non hanno voce. Tanti. Questo è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause. Questo è l’amore politico. È una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni, queste polarizzazioni che immiseriscono e non aiutano a capire e affrontare le sfide. A questa carità politica è chiamata tutta la comunità cristiana, nella distinzione dei ministeri e dei carismi. Formiamoci a questo amore, per metterlo in circolo in un mondo che è a corto di passione civile. Dobbiamo riprendere la passione civile, questo, dei grandi politici che noi abbiamo conosciuto. Impariamo sempre più e meglio a camminare insieme come popolo di Dio, per essere lievito di partecipazione in mezzo al popolo di cui facciamo parte».
(c) Vito Rizzo 2024
[Articolo pubblicato sul quotidiano Le Cronache di Salerno del 14 luglio 2024]
Leave a Reply