IL PAPA AI GIOVANI: AMATE LA VITA!

In un accorato appello rivolto ai giovani in vista della 39° Giornata diocesana della Gioventù in programma il prossimo 24 novembre ha invitato a non rassegnarsi alla stanchezza o alla noia scegliendo di osare, di guardare oltre, di mettersi in cammino e farsi pellegrini di speranza. Il rischio, troppo spesso, è di lasciarsi sopraffare dalle storture del mondo e limitarsi a “guardare la vita dal balcone”. Per paura di restare delusi, di farsi male, rinunciando così a vivere con pienezza la propria vita. Il papa dimostra di saper leggere nel profondo del cuore dei ragazzi quando afferma che «è normale che, pur iniziando i nostri percorsi con entusiasmo, prima o poi cominciamo ad avvertire la stanchezza. In alcuni casi, a provocare ansia e fatica interiore sono le pressioni sociali, che spingono a raggiungere certi standard di successo negli studi, nel lavoro, nella vita personale. Questo produce tristezza, mentre viviamo nell’affanno di un vuoto attivismo che ci porta a riempire le giornate di mille cose e, nonostante ciò, ad avere l’impressione di non riuscire a fare mai abbastanza e di non essere mai all’altezza. A questa stanchezza si unisce spesso la noia. Si tratta di quello stato di apatia e di insoddisfazione di chi non si mette in cammino, non si decide, non sceglie, non rischia mai, e preferisce rimanere nella propria comfort zone, chiuso in sé stesso, vedendo e giudicando il mondo da dietro uno schermo, senza mai “sporcarsi le mani” con i problemi, con gli altri, con la vita. Questo tipo di stanchezza è come un cemento nel quale sono immersi i nostri piedi, che alla fine si indurisce, si appesantisce, ci paralizza e ci impedisce di andare avanti».

Ma qui arriva la felice pro-vocazione del Papa: «Preferisco la stanchezza di chi è in cammino che la noia di chi rimane fermo e senza voglia di camminare!». Il cammino della vita, infatti, non è certo semplice o senza ostacoli: «Può succedere che all’entusiasmo iniziale nello studio o nel lavoro, oppure allo slancio di seguire Cristo – sia nel matrimonio, sia nel sacerdozio o nella vita consacrata – seguano momenti di crisi, che fanno sembrare la vita come un difficile cammino nel deserto. Questi tempi di crisi, però, non sono tempi persi o inutili, ma possono rivelarsi occasioni importanti di crescita. Sono i momenti di purificazione della speranza! Nelle crisi, infatti, vengono meno tante false “speranze”, quelle troppo piccole per il nostro cuore; esse vengono smascherate e, così, restiamo nudi con noi stessi e con le domande fondamentali della vita, oltre ogni illusione. E in quel momento, ciascuno di noi può chiedersi: su quali speranze appoggio la mia vita? Sono vere o sono illusioni? In questi momenti, il Signore non ci abbandona; si fa vicino con la sua paternità e ci dona sempre il pane che rinvigorisce le nostre forze e ci rimette in cammino». Il papa ricorda la bellezza dell’esperienza del beato Carlo Acutis che sarà canonizzato nel corso del prossimo Giubileo «Un giovane che ha fatto dell’Eucaristia il suo appuntamento quotidiano più importante!». Ma c’è anche un’altra sottolineatura che il papa rivolge ai giovani, l’importanza del riposo, rendendosi del tempo per ricaricare le energie: «Nei momenti inevitabili di fatica del nostro pellegrinaggio in questo mondo, impariamo allora a riposare come Gesù e in Gesù. Egli, che raccomanda ai discepoli di riposare dopo essere ritornati dalla missione (cfr Mc 6,31), riconosce il vostro bisogno di riposo del corpo, di tempo per il vostro svago, per godere della compagnia degli amici, per fare sport e anche per dormire». È necessario infatti saper trovare il giusto equilibrio tra il rischio dell’apatia e quello della frenesia. Né l’uno, né l’altro atteggiamento sono adatti ad assaporare il senso pieno della vita. Di qui l’invito del papa ai giovani a mettersi in cammino, alla scoperta della vita ma – sottolinea ancora – «mettetevi in viaggio non da meri turisti, ma da pellegrini. Il vostro camminare, cioè, non sia semplicemente un passare per i luoghi della vita in modo superficiale, senza cogliere la bellezza di ciò che incontrate, senza scoprire il senso delle strade percorse, catturando brevi momenti, esperienze fugaci da fissare in un selfie. Il turista fa così. Il pellegrino invece si immerge con tutto sé stesso nei luoghi che incontra, li fa parlare, li fa diventare parte della sua ricerca di felicità». Una metafora che ben si sposa con il pellegrinaggio giubilare che «vuole diventare il segno del viaggio interiore che tutti noi siamo chiamati a compiere, per giungere alla mèta finale».

(c) Vito Rizzo 2024

[Articolo pubblicato sul quotidiano Lee Cronache di Salerno del 22 settembre 2024]

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