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LIBERTÀ RELIGIOSA ALLA PROVA DEL COVID-19

La questione della libertà religiosa e dei rapporti tra la Repubblica italiana e la Chiesa Cattolica anche nel corso dei lavori dell’Assemblea Costituente è stata al centro di un profondo dibattito tra visioni dello Stato, dell’uomo, dell’esercizio delle libertà individuali e dei diritti umani fondamentali che hanno rappresentato un banco di prova importante della comune volontà di individuare e fissare valori condivisi sui quali fondare la nascente Repubblica.
Un ruolo fondamentale hanno assunto i costituenti cattolici, in grado di “far passare” un riconoscimento della libertà religiosa quale fondamento della stessa laicità dello Stato piuttosto che, come nell’approccio laicista francese, quale conseguenza benevola della stessa (1).
L’art. 19 della Costituzione della Repubblica italiana riesce così ad affermare che «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume». In particolare, poi, i rapporti tra Stato italiano e Chiesa Cattolica vengono disciplinati all’art.7 con un’altra affermazione di principio altrettanto significativa «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Eppure in questi giorni di emergenza sanitaria abbiamo constatato come entrambi questi principi siano stati di fatto “sospesi” in attuazione di un altro principio costituzionale, quello dell’art.16 «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza».
Proprio quello che è successo con il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020, una misura emergenziale adottata in attuazione del precedente Decreto Legge n.6 del 23 febbraio 2020, e che ha esteso all’intero territorio nazionale le misure precedentemente adottate per le cosiddette “zone rose” in cui il contagio da COVID-19 aveva già mostrato la propria capacità di diffusione silenziosa e letale. Provvedimenti di “contenimento sociale” volti ad evitare la trasmissione del virus, isolando quanto più possibile persone infette, anche se asintomatiche, e persone non contagiate. Misure drastiche che hanno coinvolto anche le normali attività di socializzazione realizzate sul territorio dalle realtà parrocchiali (v. art.1, comma 1, lett.g), chiudendo di fatto oratori, attività di catechismo, ritiri ecc. e, soprattutto, la celebrazione eucaristica tradizionale con presenza di popolo (v. art.1, comma 1, lett.i).
Invero il provvedimento citato (2), disponendo che l’apertura dei luoghi di culto fosse condizionata «all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro», di fatto non aveva inciso sul principio dell’art.19, limitandosi a dare indicazioni di “ordine pubblico” e di sicurezza direttamente demandate all’attuazione in capo alla Chiesa Cattolica, nel rispetto delle prerogative fissate dall’art.7 della Costituzione. Tuttavia, con una terminologia alquanto equivoca, la lett. i) proseguiva decretando la sospensione delle «cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri». In assenza di precise disposizioni, il Decreto lasciava spazio ad intendere che non fossero vietate le “celebrazioni eucaristiche” con presenza di popolo, ma le “cerimonie religiose” nelle quali gli assembramenti di persone avrebbero potuto compromettere il rispetto delle regole di “contenimento sociale” legittimamente introdotte ai fini della salvaguardia della salute pubblica. Nelle quarantottore successive la diplomazia ha fatto il proprio corso e ha spinto la Conferenza Episcopale Italiana, di concerto con il Ministero dell’Interno, a dare una interpretazione più restrittiva della misura indicata nel Decreto lasciando che la decisione dell’interruzione delle celebrazioni eucaristiche “cum populo” fosse formalmente assunta dalla Chiesa e non imposta dallo Stato.
Non violando, così, l’art.7 della Costituzione, e nemmeno l’art.19…

© Vito Rizzo 2020

(1) Cf. F. Occhetta, Le radici della democrazia. I principi della Costituzione nel dibattito tra gesuiti e costituenti cattolici, Milano-Roma, 2012, 202-230. G. Sale, La libertà religiosa alla Costituente in La Civiltà Cattolica, 3789, 209-222.
(2) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 8 marzo 2020 “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie Generale n.59 del 08-03-2020; https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/08/20A01522/sg

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