LA RESILIENZA DEI “SENZA POTERE”

È sorprendente l’attualità del testo simbolo del pensiero di Vàclav Havel, “Il potere dei senza potere”, con cui il drammaturgo e politico ceco affrontò le dinamiche di “resilienza” al regime comunista della sua terra. Resilienza, sì! Siamo nel 1979, Havel non lo usa di certo, ma il cuore del suo manifesto potrebbe rievocare proprio quell’invito così tanto di moda ai nostri giorni e, ahinoi, fin troppo abusato e banalizzato. Un testo in difesa del personalismo, per usare una matrice filosofica cara tanto a San Paolo VI quanto a San Giovanni Paolo II; o ancora per usare una sensibilità più vicina al magistero dei nostri giorni, dell’umanesimo integrale di cui sono permeate tanto la Caritas in Veritate di Benedetto XVI che la Laudato Si’ di Papa Francesco.

Un testo, quello di Havel, che invita l’uomo all’opposizione al materialismo marxista e alle dinamiche di quello che egli definisce post-totalitarismo ma che, mutatis mutandis, sembra calato nella realtà contemporanea. Non più il post-totalitarismo del regime comunista cecoslovacco, ma quello del regime post guerra fredda della vittoria del liberismo, un regime post-totalitario in grado di condizionare le coscienze in maniera ancora più psicologicamente sottile delle dinamiche che seguirono alla fallita Primavera di Praga. Havel lo fa ricorrendo a due figure paradigmatiche presenti nel popolo, quella del verduraio che, omologandosi ai cartelli di propaganda imposti dal regime, sostiene implicitamente la capacità coercitiva del regime stesso, o quella del mastro birraio che, non uniformandosi alla mediocrità omologante impostagli dalle direttive, viene sollevato dal suo incarico.

Verrebbe da chiedersi quanti “verdurai” animano i social network e quanti pochi “mastro birrai” sono pronti a non omologarsi, a non rinunciare ad essere persone, a pensare con la propria testa, a seguire i propri desideri autentici più che i bisogni di massa costruiti a tavolino e imposti con semplici algoritmi.

La dittatura del sistema post-totalitario è la dittatura tecnocratica, edonista, nichilista che si regge sulla “cultura dello scarto” per negare diritto di parola alla “cultura del creato”.

L’umanesimo dissidente è la frontiera di una società che non rinuncia a costruire un presente migliore, che non rinuncia alla speranza di un futuro migliore, che non rinuncia alla fraternità di una relazione migliore.

I “senza potere” di oggi sono quanti si ostinano a ricercare e a servire la verità, non rifugiandosi nella post-verità dei like di facebook o dei tweet di tendenza. I “senza potere” di oggi sono quanti non rinunciano ad essere «voce di uno che grida nel deserto» (Gv 1,23). Spostando una semplice virgola, è nel deserto dell’isolamento cui intende relegarci la società di oggi che si prepara «la via del Signore» (Is 40,3), la via dell’uomo, la via della Persona che non accetta di restare nella solitudine del proprio individualismo che lascia l’uomo succube e senza potere.

È nella riscoperta della propria e della reciproca umanità che ancora oggi si può costruire il riscatto dei “senza potere”.

(c) Vito Rizzo 2020

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