IL GRANDE BLUFF DEL REFERENDUM COSTITUZIONALE

Il prossimo 20 e 21 settembre i cittadini italiani saranno chiamati ad esprimersi sulla riforma costituzionale, votata dal parlamento, che prevede il taglio del numero dei parlamentari, da 630 a 400 per la Camera dei Deputati, da 315 a 200 per il Senato della Repubblica.

Al di là del “tifo” che ciascun elettore può nutrire a favore di una delle diverse formazioni politiche è giusto chiedersi se votare favorevolmente al taglio dei rappresentanti parlamentari sia la scelta giusta o meno.

Indubbiamente ridurre i parlamentari, con le relative indennità di carica, costituisce un risparmio per le finanze pubbliche. Ma tale risparmio risponde ad una esigenza di interesse pubblico o no?

È ancora forte l’eco delle parole di Davide Casaleggio, ideatore della piattaforma Rousseau ed eminenza grigia del Movimento Cinque Stelle, che non più tardi di due anni fa ha affermato senza remore che «oggi grazie alla Rete e alle tecnologie esistono strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci in termini di rappresentatività popolare di qualunque modello di governo novecentesco. Il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile».

Per chi la pensa come lui, è naturale quindi che 400 sono sempre meglio di 630 e zero sempre meglio di 400… È però giusto chiedersi prima di dichiararsi favorevoli al taglio del numero dei parlamentari se si condivide o meno questa impostazione ideologica. In caso affermativo la scelta più coerente è votare Sì, in caso di perplessità sulla impostazione di fondo è bene allora addentrarsi in qualche considerazione un po’ più attenta.

Quale dinamica insorgerebbe tra parlamentari e partiti in caso di riduzione del numero dei parlamentari stessi? Per garantirsi la ricandidatura – che, per inciso, con assenza delle preferenze e con le liste bloccate equivale ad una prevedibile rielezione o meno – i parlamentari saranno portati a mostrarsi quanto più fedeli al proprio gruppo dirigente, non di certo alla propria coscienza che, notoriamente, non stila sovente le liste di partito. Che fine faranno i parlamentari che preferiscono restare fedeli alla propria coscienza, a dispetto degli orientamenti dominanti e delle scelte ufficiali di partito, soprattutto in materie delicate quali le questioni bioetiche, i diritti civili, le politiche per la famiglia e per la difesa della vita? Ecco che allora una riduzione degli spazi (meno parlamentari da assegnare), comporterà realisticamente la promozione dei più fedeli, punto. Non i più bravi, non i più capaci, non i più nuovi, non i più autorevoli, non i più intellettualmente liberi.

La riduzione del numero dei parlamentari porterà alla non rielezione dei vecchi “Soloni” a vantaggio di forze fresche e dinamiche? Per il ragionamento fatto, molto probabilmente no. Quindi è fuorviante, da parte dei sostenitori del taglio dei parlamentari, rivendicarne la funzionalità associandola al taglio dei politici di lungo corso. Realisticamente non sarà così avendo gli stessi più forza clientelare e, di conseguenza, contrattuale. Ne consegue che tale semplificazione propagandistica andrebbe guardata con molta diffidenza.

La riduzione del numero dei parlamentari renderà più facile o più difficile la rappresentanza di istanze politiche “non allineate” con il pensiero unico? Anche in questo caso la risposta è evidente. Se si restringono le porte di accesso al Palazzo i partiti, i movimenti, gli esponenti politici non allineati avranno sempre più difficoltà ad entrare per rappresentare interessi specifici e concorrere alla formazione di una coscienza collettiva più matura e attenta alle istanze di un mondo, come quello cattolico, fortemente sottorappresentato in parlamento.

Ultima domanda, la riduzione dello spazio di rappresentatività dei cittadini può essere sacrificata per un risparmio di spesa? Domanda secca, senza nemmeno andare a valutare, come sostengono i più, che tale taglio comporterebbe un risparmio pari né più né meno che di un caffè all’anno per ogni cittadino…

Più probabile, infatti, che gli sprechi del bilancio pubblico non si annidino nel numero dei parlamentari ma piuttosto nel sottobosco di stanziamenti fantasma e sacche corruttive che sono il vero cancro della politica nostrana, ma forse lì la classe politica sarebbe chiamata a fare sul serio e non a limitarsi a mere scelte di facciata.

In conclusione, si è pronti a rinunciare ad uno spazio di democrazia perché il sistema parlamentare funziona male?

Mi ritorna alla mente una efficace battuta del comico siciliano Pino Caruso: «In democrazia, anche i mascalzoni hanno i loro rappresentanti in parlamento. Meglio, comunque, delle dittature dove i mascalzoni al potere ci stanno da soli».

(c) Vito Rizzo 2020

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