IN POLONIA UNA SCELTA DI CIVILTA’

Ha fatto molto discutere nelle scorse settimane la pronuncia della Corte Costituzionale Polacca che era stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della scelta abortiva motivata da una malformazione del feto. Manifestazioni di piazza, invasioni delle Chiese, interruzione delle funzioni religiose da parte di gruppi di manifestanti, il tutto perché i Giudici hanno rivelato che la scelta abortista, motivata da pratiche eugenetiche, viola i principi costituzionali e gli stessi diritti umani fondamentali.

Ebbene sì, non è una scelta moralistica, è la rivendicazione della prevalenza di un principio giuridico, la dignità umana, preminente rispetto alla scelta di “libertà” della donna.

Cerco di spiegarlo senza alcuna preclusione ideologica: la pronuncia si uniforma alle disposizioni internazionali che esplicitamente o implicitamente vietano il ricorso a pratiche eugenetiche, sulla base del principio già sancito nel 1948 dalla Dichiarazione Universale dei Dirittti Umani che all’art.3 chiarisce come “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”. In ambito europeo tali principi sono ribaditi in alcune documenti basilari come l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (È   vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”), l’articolo 11 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo e la Biomedicina, “Convenzione di Oviedo” (Ogni forma di discriminazione nei confronti di una persona in ragione del suo patrimonio genetico è vietata), l’articolo 14 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo (Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione). Lo dicono gli accordi internazionali: la dignità umana è valore assoluto e incomprimibile.

Da un punto di vista squisitamente giuridico, la Corte si è semplicemente limitata a riconoscere che l’eventuale possibilità di abortire in seguito alle malformazioni del feto causerebbe una discriminazione e una violazione del principio di uguaglianza, poiché la vita del nascituro sano sarebbe ritenuta più degna di tutela giuridica rispetto alla vita del nascituro non sano.

Ogni tanto andrebbe ricordato che tale principio è anche contenuto nella stessa legge 194/78 laddove all’art.1 prevede che «Lo Stato […] riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio», o ancora, a differenza – ad esempio – della Repubblica Popolare Cinese ribadisce che «L’interruzione volontaria della gravidanza […] non è mezzo per il controllo delle nascite».

È evidente che le pratiche eugenetiche, cioè la legittimità della selezione dei feti, la scelta di proseguire la gestazione soltanto se conforme ai parametri di “perfezione” attesi è quanto di più abominevole si possa praticare a creature indifese. Non è una scelta di civiltà, frutto dell’emancipazione e del progresso, la praticavano già a Sparta buttando i bambini malformati da una rupe. A quei tempi non c’era la diagnosi prenatale, ma la sostanza è chiaramente la stessa.

Un bambino che nasce con alcune patologie è meno degno di nascere di un bambino “sano”? La decisione se le malformazioni siano tali da non garantire le normali funzioni vitali è affidata al naturale evolversi del feto, con eventuale aborto spontaneo, ma se così non è, è giusto che il potere di vita e di morte sia demandato alla madre?

Va infatti osservato che in Polonia la legge introdotta nel 1993 consente l’aborto volontario in caso di violenza subita dalla donna, in particolare nei casi di stupro o incesto, e se è a rischio la salute della gestante. La presidente della Corte costituzionale polacca, Julia Przylebska, quindi, fortunatamente, una donna, ha chiarito che questa modalità di interruzione volontaria realizza di fatto una «pratica eugenetica» in quanto l’interruzione di una gravidanza a causa di difetti fetali vìola la disposizione della Costituzione polacca che protegge la vita di ogni individuo.

Falso dunque che sia stata una pronuncia ideologica o che in Polonia la pratica abortiva sia vietata. È consentita, ma per ragioni ritenute “superiori” alla vita stessa del bambino, ossia quando una gravidanza metta in pericolo la salute o la vita di una donna o sia il risultato di uno stupro o di altri atti illegali.

Anche qui, ci sarebbe tanto da discutere se possa mai esserci qualcosa di “superiore” alla vita stessa del bambino, ma questo attiene ai personali convincimenti, al riconoscimento della sacralità della vita, al discernimento morale che non sono oggetto di questa riflessione.

La motivazione, del tutto trascurata dai media, è quindi fortemente ancorata a principi legati al rispetto dei diritti umani, non a scelte religiose.

Il vero guaio è che l’eugenetica sembra non scandalizzare più nessuno. Sull’altare della libertà individuale e del dio denaro è per tanti legittimo l’utero in affitto, con particolare clausole che prevedono la possibilità di rifiutare il bambino una volta nato se non conforme ai parametri minimi del committente, è legittimo che si neghi la vita a un bambino che soffre di particolari patologie, è legittimo che si scelgano i donatori di sperma e gli embrioni a catalogo, consultando in un book o on line il “pedigree” del titolare dei geni.

La bellezza della vita umana è qualcosa di laicamente “sacro”, inviolabile, non perché a dirlo sia una particolare fede, ma perché è la vita stessa, valore assoluto e primario, senza la quale non si è mai titolari di diritti.

Che un uomo (o una donna), chiunque sia, possa decidere di sopprimere o meno una vita umana, di un altro essere umano che ha lo stesso suo diritto di essere al mondo, è un qualcosa che esula dalla casistica, andrebbe letto come principio generale ed astratto.

In fondo è questo che anche il diritto positivo dovrebbe garantire, e i Giudici costituzionali polacchi non hanno fatto che applicare questo principio.

(c) Vito Rizzo 2020

(articolo pubblicato sulla rivista Punto Famiglia (www.puntofamiglia.net)

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