Il cammino di Quaresima è un percorso che non va mai sprecato, ancor più oggi, in un momento in cui ci troviamo a fare i conti, chi più chi meno, con la nostra vulnerabilità, come singoli, come famiglie, come cittadini, come popoli, come umanità.
La vulnerabilità diventa così l’occasione che ciascuno ha di conoscersi e ri-conoscersi, un’opportunità per cogliere con pienezza la dimensione dell’umano che ci abita, e con essa la dimensione del divino che la muove. La vulnerabilità è cioè ciò che consente all’uomo di riconoscersi nella propria dimensione creaturale, nella sua finitezza che si supera solo nella relazione. La relazione umana e la relazione con Dio.
Il riconoscimento della vulnerabilità è la consapevolezza di sé che nasce dalla relazione corretta, sana, con l’altro e con Dio. Di qui l’importanza della dimensione spirituale che assume la vulnerabilità; non quindi fragilità (rottura di un’identità definita) ma apertura ad una maggiore pienezza che va costruita strada facendo. Una pienezza dell’umano che non è un “dato”, ma un “processo” che coinvolge la persona nella sua interezza, nella dimensione identitaria, relazionale, spirituale. È questa la traccia che viene ripresa anche nella visione antropologica che Papa Francesco propone nella Fratelli Tutti, una sfida della tenerezza che diventa presupposto di una piena umanità.
Riconoscersi vulnerabili non significa semplicemente riconoscersi deboli, inermi, fragili. La vulnerabilità ha una sfumatura un po’ più profonda. Mentre la fragilità presuppone una rottura, la debolezza una diminuzione dell’abilità, la precarietà una richiesta di soccorso, la vulnerabilità mette assieme tanto la ferita (vulnus) quanto una capacità che non viene compromessa ma, probabilmente, stimolata (habilis).
Di qui una prima pista: la vulnerabilità è un’abilità che nasce dall’essere feriti, dal riconoscersi tali, non tanto e non soltanto un’abilità che viene rotta, tipico invece della fragilità. La vulnerabilità riconosciuta diventa autentica opportunità di crescita e di pieno compimento (Cf. T.Ferraroni SJ).
Ecco che allora il periodo di Quaresima ci invita a riconoscerci nei nostri limiti, nelle nostre ferite, per poterci aprire con pienezza al dono della Pasqua.
Nella nostra Quaresima dobbiamo fare i conti con la dinamica del Figliol Prodigo che ci riguarda sempre molto più di quanto non vogliamo ammettere. È la parabola di un “prima” e di un “dopo”, è un cammino dal “prima” al “dopo” che è esperienza di conversione. Nell’esperienza personale infatti la consapevolezza della vulnerabilità è presupposto dell’esperienza autentica di Dio, Padre misericordioso, che si compie nella pienezza del dono salvifico di Gesù.
Perciò è importante che questo periodo non sia vissuto banalmente come rinuncia fisica a qualcosa, ma come un cammino che ci aiuti a una maggiore conoscenza di noi stessi e del nostro rapporto autentico con Dio. È questa consapevolezza costruita nel tempo, nei deserti della nostra vita, che consente di arrivare ad immedesimarsi nella sofferenza di Gesù non come mera scelta di emulazione penitenziale ma come accoglienza di quella sofferenza che Gesù per primo ha assunto per noi.
Abbiamo bisogno di questo cammino per comprendere che Gesù non muore per il “suo” peccato, non vive la “sua” sofferenza, non accoglie la “sua” morte, ma vive, patisce e muore per il peccato, la sofferenza, la vulnerabilità, la morte dell’umanità, di tutti gli uomini e di ciascun uomo, del “mio” peccato, della “mia” sofferenza, della “mia” morte. Il cammino spirituale serve a comprendere che il Mistero Pasquale, nel dono di Cristo, è dono di me… a me stesso. Questo cammino di discernimento e di scoperta di sé è fondamentalmente un cammino di riconoscimento delle dinamiche dell’amore, dell’agape di Dio che siamo chiamati ad assumere nella nostra vita.
Il cammino di Quaresima ci aiuta quindi ad entrare in questa dinamica, è un cammino che ci guida e ci aiuta ad accogliere con pienezza il dono della Pasqua e poi, di questo dono, riuscire a farne il principio ispiratore della nostra vita.
(c) Vito Rizzo 2021
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