Il 2 febbraio, giorno della Candelora, la festa delle candele che ricorda la presentazione al tempio di Gesù dopo 40 giorni dalla sua nascita, il Dicastero per la Dottrina della Fede, braccio operativo del Romano Pontefice, ha approvato una nota sulla validità dei Sacramenti. Un richiamo in piena regola per fare in modo che le formule pronunciate dai ministri cattolici siano conformi al rito “sacramentale” riconosciuto dalla Chiesa. Era necessario? Probabilmente sì. È di un paio di anni fa la vicenda che ha coinvolto un sacerdote di Phoenix, padre Andres Arango, della Chiesa di San Gregorio che per 26 anni ha sbagliato la formula battesimale: “Ti battezziamo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” in luogo di “Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. La conseguenza è stata che non soltanto il sacramento del battesimo è stato dichiarato nullo per tutti i coinvolti, ma anche i sacramenti successivi, in particolare Cresima, Matrimonio e in un caso la stessa ordinazione presbiteriale, sono decaduti in quanto privi del presupposto essenziale: essere stati “regolarmente” battezzati…
“Ma in fondo cosa cambia?” Direbbero in molti. “Basta l’intenzione!”. Quando si tratta di riti liturgici non è proprio così e a spiegarlo in maniera puntuale è proprio questa nota dal titolo “Gestis verbisque”, gesti e parole. Nella Dei Verbum, la Costituzione sulla Divina Rivelazione approvata durante il Concilio Vaticano II, si è usata questa formula proprio per descrivere il modo di Dio di rivelarsi all’uomo (DV 2). Nell’esercizio dei sacramenti il ministro opera in persona Christi e nomine Ecclesiae, in persona di Cristo (in virtù della propria ordinazione nel solco della tradizione apostolica), e in nome della Chiesa, “una, santa, cattolica e apostolica”, come si professa nella formula del Credo. Come chiarisce la nota «Mentre in altri ambiti dell’azione pastorale della Chiesa si dispone di un ampio spazio per la creatività, una simile inventiva nell’ambito della celebrazione dei Sacramenti si trasforma piuttosto in una “volontà manipolatrice” e non può perciò essere invocata».
In altri termini la forma è sostanza e il Ministro non può e non deve cambiare neanche una parola perché ciascuna di esse trova il proprio radicamento nella Sacra Scrittura e nella tradizione bimillenaria della Chiesa istituita direttamente da Gesù Cristo stesso. Sottolinea la nota che «in talune circostanze si può constatare la buona fede di alcuni ministri che, inavvertitamente o spinti da sincere motivazioni pastorali, celebrano i Sacramenti modificando le formule e i riti essenziali stabiliti dalla Chiesa, magari per renderli, a loro parere, più idonei e comprensibili» (GV 3), ma come ci ricorda un noto adagio popolare “la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”. Ecco, è bene che i ministri ordinati siano piastrellisti del loro superiore e non della ditta concorrente…
Per i credenti tutti e sette i Sacramenti sono azione di grazia “sacramentale” appunto, e «costituiscono così un luogo privilegiato dell’incontro con Cristo Signore che dona la sua grazia e che, con le parole e gli atti rituali della Chiesa, nutre e irrobustisce la fede» in quanto «è nell’Eucaristia e in tutti gli altri Sacramenti che “ci viene garantita la possibilità di incontrare il Signore Gesù e di essere raggiunti dalla potenza della sua Pasqua” (GV 9).
Un chiarimento necessario, dunque, anche perché – come ricorda la nota – gli interventi del Magistero in materia sacramentale trovano la loro giustificazione nella fondamentale preoccupazione di fedeltà al mistero celebrato: «la Chiesa, infatti, ha il dovere di assicurare la priorità dell’agire di Dio e di salvaguardare l’unità del Corpo di Cristo in quelle azioni che non hanno uguali perché sono sacre “per eccellenza” con una efficacia garantita dall’azione sacerdotale di Cristo» (GV 10). Come avrebbe chiosato il Beato Carlo Acutis “Meno io, per lasciare spazio a Dio”. Una massima che vale anche per quei ministri forse un po’ troppo “creativi”…
(c) Vito Rizzo 2024
[Articolo pubblicato sul Quotidiano Le Cronache di Salerno di Domenica 11 febbraio 2024]
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