LAUDATE DEUM! TORNIAMO A FARLO PER RISCOPRIRE LA PIENA UMANITA’

Se con la Enciclica Laudate si del 2015 e con la Enciclica Fratelli tutti del 2020 Papa Francesco aveva voluto dapprima proporre un nuovo paradigma antropologico per leggere la realtà contemporanea e immaginare le responsabilità di ciascuno nei confronti della “casa comune” e dei “fratelli nell’umanità”, con la recente Esortazione apostolica Laudate Deum torna sui medesimi temi mettendo da parte l’analisi argomentativa per sollecitare a passi concreti sia da parte degli Stati che delle singole persone “di buona volontà” a cui il documento è espressamente rivolto.

Rispetto all’Enciclica, che è strutturalmente un documento di più ampio respiro che traccia una prospettiva teologica su cui si incardina e si sviluppa l’azione pastorale e lo stesso magistero, l’esortazione assume i caratteri di richiamo, di sollecitazione e nel caso specifico della Laudate Deum, quasi di urgenza.

Il rischio è che possa essere derubricato dall’agenda con maggiore facilità e disinvoltura; è proprio quello che può accadere con la Laudate Deum, pubblicata nell’imminenza della Conferenza ONU sul Clima di Dubai (COP 28) del dicembre scorso.

Al di là dei magri risultati che la stessa ha portato, cosa ci lascia la Laudate Deum? Sicuramente conferma l’importanza di una attenzione ai cambiamenti climatici che impone delle scelte a ciascun credente. Certo, come afferma lo stesso Papa Francesco «alcune diagnosi apocalittiche sembrano spesso irragionevoli o non sufficientemente fondate» ma «ciò non dovrebbe indurci a ignorare che la possibilità di raggiungere un punto di svolta è reale» in quanto «piccoli cambiamenti possono provocare cambiamenti importanti, imprevisti e forse già irreversibili, a causa di fattori inerziali. Ciò finirebbe per innescare una cascata di eventi a valanga. In questo caso, si arriva sempre troppo tardi, perché nessun intervento può fermare il processo già iniziato. Da lì non si può tornare indietro. Non possiamo dire con certezza che questo accadrà nelle condizioni attuali. Ma è certamente una possibilità se teniamo conto dei fenomeni già in atto che “sensibilizzano” il clima, come ad esempio la riduzione delle calotte glaciali, i cambiamenti nei flussi oceanici, la deforestazione delle foreste pluviali tropicali, lo scioglimento del permafrost in Russia» (LD 17).

Di qui l’urgenza di «una visione più ampia, che ci permetta non solo di stupirci delle meraviglie del progresso, ma anche di prestare attenzione ad altri effetti che probabilmente un secolo fa non si potevano nemmeno immaginare. Non ci viene chiesto nulla di più che una certa responsabilità per l’eredità che lasceremo dietro di noi dopo il nostro passaggio in questo mondo» (LD 18).

Vivere il creato con attenzione e con senso di responsabilità, è questo che ciascuno di noi non può esimersi dal fare. Come esorta Francesco, bisogna contrastare l’invasiva idea di un progresso senza freni e senza etica. Il paradigma dell’ecologia integrale è alternativo al paradigma tecnocratico perché mostra «che il mondo che ci circonda non è un oggetto di sfruttamento, di uso sfrenato, di ambizione illimitata» (LD 25). La natura non è «una mera “cornice” in cui sviluppare la nostra vita e i nostri progetti» (LD 25), ne consegue che l’essere umano non va considerato né «un estraneo», né «un fattore esterno capace solo di danneggiare l’ambiente» ma «dev’essere considerato come parte della natura» (LD 26). Ciò comporta che «un ambiente sano è anche il prodotto dell’interazione dell’uomo con l’ambiente». Come osserva Francesco «i gruppi umani hanno spesso “creato” l’ambiente, rimodellandolo in qualche modo senza distruggerlo o metterlo in pericolo. Il grande problema di oggi è che il paradigma tecnocratico ha distrutto questo rapporto sano e armonioso. Tuttavia, l’indispensabile superamento di tale paradigma tanto dannoso e distruttivo non si troverà in una negazione dell’essere umano, ma comprende l’interazione dei sistemi naturali “con i sistemi sociali”» (LD 27). Occorre però «ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai suoi limiti» in quanto questo potere «è aumentato freneticamente in pochi decenni. Abbiamo compiuto progressi tecnologici impressionanti e sorprendenti, e non ci rendiamo conto che allo stesso tempo siamo diventati altamente pericolosi, capaci di mettere a repentaglio la vita di molti esseri e la nostra stessa sopravvivenza».

Ecco che allora, nel solco della Laudato si e della Fratelli tutti, Laudate Deum può assumere i caratteri propri di una esortazione “antropologica”. Un’esortazione a riscoprire con maggiore pienezza il senso dell’umano e la responsabilità che questo comporta nei confronti della casa comune. Senza mezzi termini Papa Francesco, proprio richiamando la Conferenza di Dubai che si sarebbe svolta di lì a poco ha richiamato tutti e ciascuno a questa conversione antropologica: «poniamo finalmente termine all’irresponsabile presa in giro che presenta la questione come solo ambientale, “verde”, romantica, spesso ridicolizzata per interessi economici. Ammettiamo finalmente che si tratta di un problema umano e sociale in senso ampio e a vari livelli. Per questo si richiede un coinvolgimento di tutti. Attirano spesso l’attenzione, in occasione delle Conferenze sul clima, le azioni di gruppi detti “radicalizzati”. In realtà, essi occupano un vuoto della società nel suo complesso, che dovrebbe esercitare una sana pressione, perché spetta ad ogni famiglia pensare che è in gioco il futuro dei propri figli» (LD 58).

Non una mera esortazione contingente, quindi, ma una sveglia a prendere sul serio le due precedenti Encicliche, anche perché, come precisa ancora il Papa, tutta possa riportare l’uomo al nome stesso dato alla esortazione «Lodate Dio». Bisogna ripartire da lì, con tutti gli annessi e connessi, «perché un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso» (LD 73).

(c) Vito Rizzo 2024

[Articolo pubblicato sulla Rivista Punto Famiglia]

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