È da alcune settimane che il tema dell’aborto riempie le pagine dei giornali e i principali notiziari.
Ultima pietra dello scandalo l’emendamento della maggioranza di Governo al decreto-legge Pnrr, in
cui si afferma che «le Regioni organizzano i servizi consultoriali […] e possono avvalersi, senza
nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche della collaborazione di soggetti del
terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel campo del sostegno alla maternità». Pochi
giorni prima a Bruxelles era stata approvata una risoluzione che propone di inserire l’aborto «tra i
diritti fondamentali della Ue». A promuoverlo i liberali-macroniani di Renew, insieme a Socialisti e
Democratici con Verdi e Sinistra con 336 voti favorevoli, 163 contrari e 39 astensioni. Gli
eurodeputati chiedono che l’articolo 3 della «Carta dei diritti fondamentali» sia modificato così
com’è accaduto qualche settimana fa in Francia con l’inserimento del diritto all’aborto in
Costituzione. Che la normativa possa disciplinare la pratica abortiva è cosa acclarata, che tale
“diritto” possa essere ascritto tra i diritti umani è cosa tutt’altro che scontata.
A leggere i toni del dibattito in corso sembra di trovarsi immersi in quel futuro distopico
immaginato da George Orwell, spostare l’attenzione e la sensibilità culturale per alterare la stessa
percezione della realtà. La legge n.194/78 che è legge dello Stato in tutti suoi articoli, soprattutto –
occorre ricordarlo – non è titolata “Legge sull’Aborto” ma “Norme per la tutela sociale della
maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”.
Cosa vuol dire? L’art.1 della legge afferma che lo Stato, sebbene preveda le modalità per procedere legalmente all’interruzione della gravidanza, «riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio». Tutela la vita umana sin dal suo inizio… è su questo dovere dello Stato che si sposta la “scelta di campo”.
Ma cosa dice la biologia? Quando c’è inizio della vita? La verità scientifica evidenzia che l’unico
vero “salto” fondamentale per la nascita di una nuova vita è la formazione di un nuovo corredo
genetico che avviene fin dal momento della fusione dei due gameti: è in questo stadio che si
costituisce l’identità genetica di un nuovo individuo umano.
A chiarirlo non è un organo confessionale, ma il Comitato Nazionale di Bioetica (cfr.
Considerazioni bioetiche in merito al c.d. “ootide”, 15 luglio 2005). La scelta di rendere “non
punibile” l’aborto nei primi 90 giorni dal concepimento e garantire una procedura strutturata
all’interno del Servizio Sanitario Nazionale è quindi una, legittima, scelta “politica” e non
“scientifica”. Ecco perché, a dispetto dei dati scientifici, si tende a spostare il dibattito su ragioni di
carattere filosofico, sociologico, ideologico… È di tutta evidenza che se lo Stato è tenuto a tutelare
la vita umana «dal suo inizio» sarebbe fondamentale che lo stesso si facesse carico di offrire alla
donna una vera libertà di scelta, non negandole la conoscenza della verità scientifica (perché negare
l’obbligo del “primo battito”?) o il sostegno economico, sociale, culturale a una scelta “di vita”.
Occorre “ripulire” i termini del dibattito in corso sforzandosi di fare una operazione di verità. Ecco
dunque spiegato perché, in occasione del 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo (10 dicembre 1948) il Dicastero per la Dottrina della Fede ha deciso di pubblicare il
Documento Dignitas infinita: «una dignità infinita, inalienabilmente fondata nel suo stesso essere,
spetta a ciascuna persona umana, al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si
trovi. Questo principio, che è pienamente riconoscibile anche dalla sola ragione, si pone a
fondamento del primato della persona umana e della tutela dei suoi diritti». Un documento che
tocca tanti aspetti della dignità umana e che nell’affrontare il tema dell’aborto ricorda l’impegno di
una paladina della difesa della dignità umana, Madre Teresa di Calcutta, che nel ricevere il Nobel
per la Pace nel 1979 affermò con grande lucidità che «oggi il più grande mezzo, il più grande
distruttore della pace è l’aborto». Siamo di fronte a un relativismo ideologico pericolosissimo
«perché se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, cosa mi impedisce di uccidere te e a
te di uccidere me? Nulla».
La questione prima che politica, prima che religiosa, prima che giuridica, è etica. In fondo i diritti umani dovrebbero costituire l’argine all’arbitrio giuridico non legittimarne l’uso e l’abuso.
(c) Vito Rizzo 2024
[Articolo pubblicato sul quotidiano Le Cronache di Salerno del 21 aprile 2024]
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