LA GIOIA DI FARE I CHIERICHETTI

C’è chi li chiama erroneamente “chirichetti” ma il nome vero che va riservato ai piccoli ministranti è “chierichetto”, piccolo chierico, che è poi il senso più genuino del loro servizio all’altare. Non a caso i chierichetti indossano il camice, (o “alba” che nell’Alto Medioevo indicava la tunica clericale), che è la veste bianca che indossano tutti coloro che officiano durante la liturgia cattolica. Proprio perché anche visivamente bisogna mettere in evidenza chi svolge durante la liturgia un particolare servizio essa è indossata non solo dal sacerdote celebrante, ma anche dai ministri e dai ministranti.

Spesso ai chierichetti viene chiesto di indossare anche la “cotta”, la sopraveste che presenta anche alcuni merletti o ricami che vogliono dare all’abbigliamento maggiore solennità.

Una piccola curiosità: mentre la cotta, indossata sull’abito talare, viene usata dal clero in tutte le celebrazioni liturgiche fatta eccezione per la messa (in questo caso i diaconi, i presbiteri o i vescovi celebranti devono obbligatoriamente indossare il camice), nella celebrazione della messa costituisce l’abbigliamento proprio di chi “assiste”, svolge un servizio all’altare, ma non sta “concelebrando”. Se la indossa, ad esempio, un ministro ordinato, significa che questi non sta celebrando o concelebrando ma semplicemente assistendo.

Anche l’abbigliamento liturgico è un “linguaggio” che sarebbe bello riscoprire.

Fare da chierichetto è spesso un “premio” che viene riconosciuto ai ragazzi e alle ragazze che hanno mostrato maggiore sensibilità e attenzione nei percorsi di catechismo per la preparazione al sacramento della Prima comunione o della Cresima ed in effetti di “premio” proprio si tratta: avere l’onore di vivere da vicino l’attualizzazione del Mistero Pasquale.

Nel recente incontro che Papa Francesco ha tenuto a Roma con i ministranti provenienti da tutto il mondo, il pontefice ha voluto rimarcare il senso del titolo dato all’incontro: “Con te”. “Mit dir”. “With you”. “Avec toi” «il protagonista di questo “con te” è Dio. Gesù ha detto: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). E questo si realizza al massimo nella Messa, nell’Eucaristia: lì il “con te” diventa presenza reale, presenza concreta di Dio nel Corpo e nel Sangue di Cristo. Il sacerdote vede accadere ogni giorno questo mistero tra le sue mani; e anche voi lo vedete, quando servite all’altare».

Proprio la prossimità con la consacrazione eucaristica rappresenta per i più piccoli un’esperienza dalla quale saper cogliere tutta la ricchezza. Si ha la possibilità di essere vicini, anche fisicamente, al luogo in cui Gesù si incarna nell’ostia e nel vino e si dona, ancora una volta, a ciascuno. È il miracolo per eccellenza che vive nella “sostanza” e non nella manifestazione. Chi fa esperienza di questa “comunione” vive e realizza questa straordinaria vicinanza tra il divino e l’umano. Ecco perché è importante che i chierichetti siano preparati a vivere con consapevolezza questo loro servizio all’altare, perché non si riduca a una simpatica passerella ma porti i suoi frutti anche nella vita di ogni giorno. Come evidenzia il Papa il punto-chiave è proprio questo: «il “con te” che possiamo donare agli altri. Così si può realizzare il suo comandamento: “Amatevi come io vi ho amati”». L’esperienza del ministrante diventa un’esperienza da condividere con gli altri: «Se tu ministrante custodisci nel tuo cuore e nella tua carne, come Maria, il mistero di Dio che è con te, allora diventi capace di essere con gli altri in modo nuovo. Anche tu – grazie a Gesù, sempre e solo grazie a Lui – anche tu puoi dire al prossimo “sono con te”, ma non a parole, ma nei fatti, con i gesti, con il cuore, con la vicinanza concreta – non dimenticate la vicinanza concreta – piangere con chi piange, gioire con chi gioisce, senza giudizi, senza pregiudizi, senza chiusure, senza esclusioni. Anche con te, che non mi sei simpatico; con te, che sei diverso da me; con te, che sei straniero; con te, da cui non mi sento capito; con te, che non vieni mai in chiesa; con te, che dici di non credere in Dio».

(c) Vito Rizzo 2024

[Articolo pubblicato sul quotidiano Le Cronache di Salerno del 4 agosto 2024]

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