Sono tante le immagini che ci hanno accompagnato in questi ultimi giorni nei quali la Chiesa e l’umanità tutta si sono strette in un abbraccio commosso attorno a Papa Francesco. Tante le immagini simbolo del suo pontificato, dal sorriso al balcone di San Pietro nel giorno della sua elezione alla corona di fiori offerta nelle acque di Lampedusa, dalle folle festanti negli incontri pubblici alla solitudine del vuoto di San Pietro durante la preghiera nell’anno del Covid.
Tante le immagini che raccontano la speranza nel giorno del suo funerale. Quella del fiume di persone che straripava da Piazza San Pietro ben oltre Via della Conciliazione, quella delle macchie rosse, bianche, nere, policrome di quanti a diverso titolo hanno concelebrato la messa esequiale: vescovi e cardinali vestiti di rosso, presbiteri in bianco con la stola rossa, potenti della Terra in rigido nero (salvo qualche nota stonata), l’assemblea concelebrante del popolo di Dio, variopinta come variopinto è il messaggio universale del Vangelo. Quelle di Trump e Zelensky che si guardano in faccia, seduti l’uno di fronte all’altro, sotto il tetto della basilica vaticana e che provano ad aprire uno spiraglio di pace nelle loro turbolente relazioni diplomatiche.
Eppure probabilmente l’immagine che meglio racconta, senza parole, l’eredità di Francesco è la foto di quelle scarpe nere e consumate che spuntavano dalla bara del pontefice. Nere, innanzitutto. Non rosse. Scarpe ordinarie di chi cammina per le strade del mondo e non si preserva nelle fastose stanze di un palazzo. Consumate, dall’uso, dal tempo. Scarpe usate, non da cerimonia. Fosse anche quella del funerale del successore di Pietro. Scarpe lise, segnate da una storia vera, fatta di passi concreti sulle strade dissestate del mondo.
Sono le scarpe di Papa Francesco che sono il simbolo delle scarpe che è chiamata ad indossare sempre la Chiesa pellegrina sulla terra. Sono le scarpe di ogni giorno della Chiesa in uscita. Sono le scarpe infangate in un ospedale da campo. Sono le scarpe di chi non ha rinunciato ad accompagnare l’umanità in un tratto di strada.
Dodici anni di cammino non sono pochi. Sono un tempo che può dettare l’agenda anche per chi verrà dopo. Sono il tempo della semina di un messaggio di speranza che ha saputo riscoprire il vigore della radicalità del Vangelo; che ha saputo raggiungere le periferie geografiche ed esistenziali. Un tempo speso per raggiungere gli ultimi, i poveri, gli emarginati, i dimenticati.
Nei prossimi giorni scopriremo chi raccoglierà l’eredità di Francesco, quale scelta faranno i cardinali elettori chiamati a farsi interpreti della grazia dello Spirito santo che li guiderà non alla scelta del Papa migliore, più bravo, più bello o più simpatico, ma di quello che saprà interpretare al meglio il tempo presente e il ruolo che la Chiesa è chiamata ad assumere per accompagnare l’umanità in cammino nei prossimi anni.
Per parte nostra, nei prossimi mesi saremo chiamati a vivere il tempo di grazia giubilare con uno slancio forse ancora più consapevole, a farci pellegrini di Speranza.
Ma non dobbiamo fermarci. L’anno giubilare, come pure la testimonianza profonda e autentica di Papa Francesco, ci sollecitano a un’autentica conversione del cuore.
A riscoprire l’intimità con Gesù, con la sua Parola, con i suoi sacramenti, con la sua presenza eucaristica.
Nel nostro cuore e nei volti delle persone che si affacceranno nel nostro cammino.
Nei prossimi anni saremo chiamati a vivere con sempre maggiore profondità il Vangelo nelle nostre vite. Pellegrini con le scarpe consumate, è questo il monito che ci lascia Papa Francesco.
(c) Vito Rizzo 2025
[Articolo pubblicato sul quotidiano Le Cronache di Salerno del 27 aprile 2025]
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